Cyberbullismo, quando casa non è un posto sicuro. Le ripercussioni psicologiche

Cyberbullismo, quando casa non è un posto sicuro. Le ripercussioni psicologiche

ITALIA – Il cyberbullismo è in forte crescita, soprattutto all’interno della vita sociale dei giovani iperconnessi.

È un atteggiamento che si diffonde parallelamente all’evolversi dei nuovi strumenti tecnologici come tablet, smartphone etc… che hanno fatto si che, il danno correlato a un azione violenta, non si manifesti più soltanto nel luogo fisico, ma anche attraverso gli apparecchi elettronici.

Questo fenomeno, che si presenta con dei tratti tipici del bullismo tradizionale, presenta anche dei tratti caratteristici, quali:

  • L’anonimato: la maggior parte delle volte, il cyberbullo nasconde la sua vera identità, ricorrendo a nickname e profili fittizi. Si nasconde, infatti, dietro uno schermo riuscendo così a stabilire contatti frequenti e continui con la vittima;
  • L’assenza di reazione tra vittima e bullo: dare una risposta e difendersi diventa quasi impossibile, dato che i bulli si nascondono dietro identità non reali, ovvero si mascherano;
  • Mancanza di limiti spazio-temporali: il cyberbullo, riesce a invadere, in qualsiasi momento, la privacy della vittima, sia di giorno che di notte, infiltrandosi in qualsiasi momento dentro casa sua;
  • Assenza di remore etiche: chi mette in atto questi comportamenti dannosi, prepotenti sfociando in molestie vere e proprie, pensa che sia semplicemente un gioco.

Tutto ciò può manifestarsi anche attraverso la condivisione di materiale riservato, senza il permesso del diretto interessato: basti pensare, per esempio, a filmati, immagini intime, audio, messaggi.

I motivi che spingono gli individui ad assumere questi atteggiamenti, possono essere di svariata natura. Ad esempio, un uso eccessivo di Internet, la mancanza di una supervisione da parte degli adulti – sia i bulli che le vittime navigano liberamente senza controlli – , se si considera che ormai, la comunicazione, avviene prevalentemente attraverso messaggi istantanei, che possono contenere linguaggio volgare e inopportuno.

Inoltre, a fomentare questa forma di violenza, verbale o fisica che sia, è la massiccia esposizione – senza troppi filtri – ai moderni videogiochi e pellicole “crude”, che inducono i giovani a pensare che la vita reale sia solo un episodio della loro realtà virtuale.

Le ripercussioni psicologiche di queste tipologie di comportamento sulla vittima sono, ovviamente, più che significative: possono portare, infatti, a manifestazioni di depressione, ad anoressia, fino ad arrivare a istinti autolesionistici.

Il cyberbullismo è un fenomeno di cui si parla ancora troppo poco, considerando che è una nuova forma di violenza e, per lo più, occulta e subdola, tanto da risultare meno eclatante del bullismo tradizionale.

Piuttosto, si tratta di un fenomeno che non ha vincoli di spazio e di tempo: non è necessaria la compresenza dei protagonisti, e il cyberbullo ha la possibilità di potersi materializzare in qualsiasi momento nella vita della vittima, il che lo rende più difficilmente individuabile.

Inoltre, con il bullismo tradizionale, la vittima può rifugiarsi nel suo posto sicuro, rientrando a casa circondato dall’affetto e la protezione dei propri cari. Con l’aggressione a distanza, quasi tutto cambia. La vittima viene inseguita e non ha via di scampo. La casa e la stanza, che dovrebbero essere luoghi sicuri, diventano luoghi pieni di insidie, paure e disagi.

La legge, in relazione a questa situazione, si esprime attraverso il Decreto n. 93/2013, ove l’art. 9, si prevede l’aggravante per la frode informatica commessa con sostituzione d’identità digitale e L’art. 612bis del codice penale, che prevede un aggravamento ordinario della pena stabilita per il reato di atti persecutori, indicato con stalking/cyber-attacco, nel caso in cui il fatto sia commesso attraverso strumenti informatici o telematici.

Di recente è stata sviluppa un’applicazione per arginare il fenomeno: la “Convy School“, ideatrice la Società Benefit – Convy Srl -, a cui già hanno già aderito all’utilizzo 400 scuole in tutta Italia, di cui 16 in Lombardia.

La legge, da sola, non può bastare. Se a monte, poi, non c’è un’azione educativa e di prevenzione. Internet fa parte dell’evoluzione, vietare a priori l’utilizzo comporterebbe un uso segreto, scorretto e pericoloso del web.

Si tratta, piuttosto, di considerare il web come uno strumento da utilizzare in sinergia con i ragazzi, educandoli, ascoltandoli e cercando di comprendere che tipo di utilizzo ne facciano. Si tratta di interessarsi alla loro vita che, volenti o nolenti, è anche online.

Solo se da genitori o educatori si entra in contatto con i ragazzi e con la loro “vita online”, si può conquistare la loro fiducia e dettare regole, “stipulare un contratto” sull’uso corretto dello smartphone e del pc, avvisarli dei pericoli, delle conseguenze di certi atteggiamenti e delle implicazioni legali.

Solo in questo modo si avranno dei ragazzi in grado di vivere correttamente il loro essere cittadini digitali.

Immagine di repertorio