CATANIA – Permetteteci quasi una blasfemia: la – stupenda – vittoria contro il Palermo cede il primo posto, in una immaginifica classifica delle emozioni e delle soddisfazioni, al modo come la stessa è stata conquistata.
Chi ha vissuto dagli spalti uno degli incontri più belli di questi grigi anni in terza serie, vi può solo confermare che non ha appagato solo il doppio vantaggio, ma ancor più l’impegno, la determinazione, la ferrea volontà messa in essere già dal secondo tocco di palla, secondo solo perché il calcio d’inizio non era nostro.
Chiaro a tutti, già dal primo minuto, che avremmo assistito a uno di quegli incontri dove il risultato, senza subdoli fraintendimenti, era già stato deciso prima ancora di giocare.
Palpabile serietà e senso del dovere messi in essere da subito, ma stavolta di quelli che superano gli algidi argini del professionismo, naturalmente presente anch’esso, ma che all’ombra dell’Etna, con questa tifoseria, muta dimensione riscrivendo e innescando un proprio, non clonabile, linguaggio passionale in un rapporto unico tra giocatori e tifosi.
Per gli inguaribili scettici, basterebbe rivedere le immagini della festa finale sotto la curva per cogliere nella sua essenza il concetto precedente.
Ecco, questo è quanto è successo domenica al Massimino, il tutto sintetizzabile in quella perla del secondo gol del Luca Nazionale, mirabile concentrato di tecnica, determinazione, freddezza mista a rabbia, sì rabbia, per ciò che siamo e che nulla c’entra con dove siamo da troppi anni. E fa ancora più rabbia non sapere ancora se ci rimarremo.