Ripartiamo dalla Turris, aspettando “Godot…”

Ripartiamo dalla Turris, aspettando “Godot…”

CATANIA – Bussare al teatro dell’assurdo di Beckett come metafora potrebbe sembrare più di un peccato veniale, quasi un fuori contesto, soprattutto in un momento societario dove, con il cambio allenatore, si cerca di concretizzare, già da domani, qualcosa che vada oltre il magro bottino di quindici punti dopo tredici gare.

Un nuovo tentativo di ricostruire una squadra tra mente, testa e… quella voglia di crederci “Made in Grella”

Eppure, nonostante le (riconosciute) buone intenzioni, anche se tardive, la metafora non sembra troppo peregrina considerando che da oltre un decennio una tifoseria come la nostra attende il “suo Godot” … Un’attesa che non è solo approdare nella serie superiore, anche se questo è il primo desiderio, ma è, inoltre, la speranza che un modo d’essere e d’intendere la fedeltà a quei due cromatici ideali che adornano la maglia, venga trasmessa, e ricevuta per empatia, dai tifosi alla squadra e a tutto l’ambiente. 

Martedì in conferenza stampa stesse scene, medesime parole, uguali speranze. Ci crede Grella, vorremmo, finalmente, crederci un tantino anche noi, quest’ultima affermazione che non coglie da un mero, polemico, becero, scettiscismo acchiappa like, perché qui, se c’è qualcuno che può affermare: “IO CI CREDO” sono di certo i quattordicimila tifosi che hanno firmato un assegno in bianco e, ancor più, quelli che hanno attraversato impervie strade che conducono in luoghi dove spesso perfino Google Maps fa fatica a indicare.

Si è detto di fare leva su un sano pragmatismo per ripartire, bene, concordiamo, a cui affiancheremo un termine come realismo per una stagione dove ci si aspettava, forse per esagerato ottimismo, un copia incolla della precedente: così non è stato, e adesso ricominciamo ad aspettare ciò che ancora non è arrivato e difficilmente arriverà quest’anno, anche se tutti ci speriamo e non disperiamo. 

E su questo la metafora inziale ci azzecca tutta, perché Catania, da oltre due lustri, aspetta il “suo Godot”. Pertanto, è incontestabile che questo verbo “aspettare” si è avvinghiato nel nostro modo d’intendere il calcio a queste coordinate geografiche. Ad ogni anno ci si chiede: sarà l’anno buono? Aspettiamo… anche perché (si pensava) non siamo mai stati più di cinque anni in serie C e non credo staremo di più…e senza che te ne accorgi sono diventati, sempre aspettando, oltre il doppio. Arrivi ad un passo dal grande salto e quel palo trema ancora e cosa facciamo? Aspettiamo il prossimo anno.

Poi la crisi e si aspettano che tirino fuori gli attributi i capitani coraggiosi per (ri)scoprire, invece, una città senza verve imprenditoriale se non un coacervo di commercianti e dubbiosi azionisti perfetti per farci sprofondare in un inevitabile anno zero. Aspettiamo lo zio d’America per scoprire che non era poi così tanto zio e ancor meno America e a seguire un innominabile che non merita nemmeno la citazione e lo spreco di un byte.

Poi, tutto tace in un silenzio che ingloba ed elide passato e matricola, la Catania bene è questa: tutta chiacchere e nemmeno il distintivo. Aspettiamo il vento australiano che arriva forte, deciso e professionale: la passeggiata in D è solo la conferma che qualcosa, finalmente, è cambiato. Troppo bello, tutto perfetto, poche invisibili crepe, per scoprire che la C non perdona nessuno e mette a nudo limiti e inesperienze, scopriamo all’improvviso che sono umani anche loro e possono anche sbagliare. 

Una sequenza di errori che ci riporta, fin dalla prima gara, ad aspettare il vento del cambiamento, domenica dopo domenica, sconfitta dopo sconfitta per ricominciare da un “usato garantito” dopo, naturalmente, aver aspettato una settimana per l’ufficialità. Così, martedì scorso abbiamo salutato con grandi speranze il ritorno di chi in passato ci aveva fatto accarezzare un sogno e anche lui ci chiede ancora una volta di…aspettare almeno fino a Natale. E intanto domani c’è la Turris e la tifoseria che, come sempre, aspetta che questo “carrarmato” cominci a macinare punti. A questo punto possiamo solo dire: buon lavoro Mister tutti noi ci aspettiamo grandi cose da lei