Commissariamento e soldi, esteri superiori: calcio italiano nel baratro, gli “ingredienti” mancanti per tornare in alto

Commissariamento e soldi, esteri superiori: calcio italiano nel baratro, gli “ingredienti” mancanti per tornare in alto

CATANIA – Dele Alli (Inghiletrra), Kylian Mbappè (Francia), Marco Asensio (Spagna) e Joshua Kimmich (Germania). No, non sono i “nomi caldi” del prossimo calcio mercato, anche se potrebbero esserlo. Ma, in questo caso, semplicemente alcuni dei giovani talenti stranieri che parteciperanno al prossimo mondiale con le rispettive nazionali.

Si potrebbe partire da questo per capire cosa possa aver influito negativamente sulla prestazione dell’Italia alle qualificazioni per i Mondiali di calcio in Russia del 2018. Ovvero da un ricambio generazionale di cui si parla sempre, ma che, molto spesso, non avviene mai. Tanti gli italiani promettenti, ma tutti sempre senza spazio e possibilità di esprimersi ed “esplodere”. In Italia manca la capacità di aspettare e dare fiducia, in una parola: pazienza. Quella stessa parola che, invece, contraddistingue gran parte dei campionati stranieri.

Basta pensare a quanti giocatori sotto i 30 anni (spesso anche 25) vestono la maglia della propria nazionale e, soprattutto, giocano con continuità nei campionati stranieri: Premier League, Bundesliga, Liga e, negli ultimi tempi, anche la Ligue 1. È questo il calcio 2.0, quello che, complici le regole FIFA e UEFA e la mancanza di fondi, trova nuove risorse senza andare lontano: in casa propria, infatti, vengono pescate le nuove promesse, quelle danno continuità a progetti e che difendono i colori della propria nazione.

Eppure, anche nel Bel Paese si sente parlare di nuovi talenti, di campioni. Ma, che fine fanno? La maggior parte vengono mandati a fare esperienza nei campionati minori (possibilmente per anni), in altri casi vengono ceduti all’estero, dove, invece, fanno le fortune di altre squadre. Insomma, il calcio italiano non funziona. Ma non solo per questo.

Si potrebbe andare ancora più alla radice del problema, dove mancano gli investimenti nelle scuole per creare lezioni supplementari ai più giovani, giochi studenteschi e allenamenti mirati per chi ha la passione per lo sport. Certo, questo aspetto riguarda anche le altre discipline sportive, ma, al momento, l’amarezza degli italiani dopo la sconfitta con la Svezia e la conseguente mancata partecipazione ai Mondiali 2018 ha acceso i riflettori su un sistema sportivo e calcistico che mostra diverse falle e lacune.

Tra le tante anche il commissariamento non solo della Lega di Serie B, ma anche di quella maggiore. Sia il campionato cadetto che la Serie A sono senza presidente e coordinate da Carlo Tavecchio, numero uno della Federazione Italiana Giuoco Calcio. Uno che, sicuramente, ci mette la faccia, ma che sembra non aver avuto il polso duro anche quando avrebbe potuto e, forse, dovuto. Per esempio, in occasione della decisione di ridurre le squadre del massimo campionato da 20 a 18, cosa detta tante volte e mai messa in pratica. Così come la gestione per ottenere i diritti tv, da molti molti troppo bassi rispetto a quanto garantito ai campionati stranieri. Insomma, sembra che qualcuno non difenda lo sport più amato in Italia.

Tuttavia, volendo soffermarsi su un discorso prettamente economico, si potrebbe andare ancora oltre. Sembrerà di essere ripetitivi, ma, forse, ancora non è chiara l’importanza degli stadi di proprietà. Le squadre sono delle società a tutti gli effetti e, sulla base di questo, dovrebbero gestire al meglio il proprio business, puntando proprio sugli introiti garantiti dai tifosi.

Vivaio, pazienza, responsabilità e buona gestione: questi gli ingredienti per garantire un alto livello del calcio italiano. Forse la bastonata contro la Svezia potrebbe finalmente far aprire gli occhi.