CATANIA – Un fendente da fuori area a firma di D’Ausilio archivia l’anno calcistico del Catania, quello storicamente più illogico, senza regole, abulico dalla ricerca di un serio riferimento, incentrato sull’incertezza per antonomasia e nell’ultima gara contro il Benevento con un record dove, paradosso nel paradosso, si rischiava parimenti l’inferno dei play out o l’Eden dei play off, un irrazionale in/out come se stesse andando in scena una rappresentazione nella migliore tradizione teatrale dell’assurdo da fare invidiare allo stesso Beckett.
Che il rischio che qualcosa quest’anno potesse non andare per come avrebbero desiderato Pelligra, i suoi uomini e i tifosi, dovevamo coglierlo già in quel 4 a 1 subito a Ragalna contro il Ragusa. Troppo presto, d’accordo, era solo un’amichevole, dubbio suffragato però da quel numeretto, diciassette, che in una deriva scaramantica è già sintesi del pensiero comune: troppe sconfitte per chi in estate aveva programmato altro. Argomento allenatori? Già il plurale suona male, ma è più che d’obbligo con ben tre allenatori che si sono succeduti in pochi mesi l’uno dall’altro. Cominciando dallo “snervante” teorico Tabbiani per passare al troppo vulcanico, quanto cervellotico, Lucarelli con una sequenza di schemi che non vedi nemmeno a un corso a Coverciano, fino al malcapitato Zeoli che si è ritrovato al posto sbagliato nel momento peggiore e con metà squadra “riscritta” da altri. Eppure, a bocce ferme e per chi viene da un altro pianeta, ci si ritrova con un trofeo e l’aver partecipato ai play off nazionali che se non sono la serie B, hanno elargito gioie e speranze salvando l’intera stagione.
Questo è il passato, un’entità temporale immutabile ma che è sempre gravida di un elemento prezioso, unico, insostituibile: l’esperienza che in una vulgata possiamo tradurre nell’imparare dai propri errori e godere, facendone tesoro, delle mete raggiunte e più di tutto ricordare sempre, in maniera imperitura, di quelle nemmeno sfiorate. Sì, perché non dimentichiamo che il bicchiere, in fondo, è mezzo pieno. Sarebbe disonesto dimenticare quella Coppa elevata da una rossa passione in un cielo azzurro, non si può e non si deve buttare tutto questo insieme a ciò che vorremmo che non fosse mai accaduto per ben diciassette volte: com’era quella storia del bambino e l’acqua sporca?
Vero anche che “chi non impara dalla storia è costretta a riviverla”, una frase scritta per qualcosa di più importante di un campionato di calcio e speriamo nel perdono per averla usata per qualcosa di così futile, ma se venisse applicata anche all’ombra dell’Etna potrebbe servire a fare ripartite una intera comunità che ha dimostrato, in maniera reiterata, l’importanza di credere in qualcosa che unisce classi sociali magari agli antipodi, ma in una città dove tutti insieme provano ad aggrapparsi a una maglia che li rappresenti tra fede e speranza di rinascita sportiva e sociale.
Mister Pelligra credo che abbia imparato bene a conoscerci con i nostri (ventimila) pregi e (i circa settanta) difetti, quell’arco dei tifosi che vanno dal Massimino a Padova, e adesso sa che non può più sbagliare, non possono sbagliare e nemmeno noi dobbiamo farlo. Solo così potremmo dare credito e sostanza a quel passionale, verace, sentito appello nell’unico allenamento aperto al pubblico: “e adesso andiamoci a riprendere questa serie B”. Una volta tanto, anche se in ritardo di una stagione, diamogli ascolto…