CATANIA – Definire “Quel Santo di mio padre” semplicemente un monologo è riduttivo, perché l’atto unico di e con Giuseppe Brancato, spettacolo ospite della rassegna “Sguardi” della “Compagnia Buio in Sala” diretta e ideata da Massimo Giustolisi e Giuseppe Bisicchia, con estrema immediatezza, semplicità e un’ironia più che intelligente riesce a toccare diversi aspetti del nostro quotidiano dalla violenza di genere, al moralismo ipocrita della provincia italiana passando per il rifiuto violento della diversità sfruttando, senza cadere nel banale, la cultura mafiosa e omertosa della Sicilia degli anni ’70.
Sul palco di “Spazio Bis” l’elegante sala all’interno dell’Istituto Leonardo Da Vinci sede di Buio in Sala, scuola di formazione di e produzione teatreale, Giuseppe Bracanto per una per una produzione Nave Argo, in collaborazione con “Latitudini” rete siciliana di drammaturgia contemporanea, nelle vesti di un figlio, che si crede parente stretto di Gesù, racconta la storia del piccolo Salvatore Spanò, figlio di Lucia e Mariano, “impiegato” e uomo di fiducia del boss del paese a cui la gente dimostra rispetto e reverenzialità.
Tra paradosso, leggerezza e una naturale riflessione a fine rappresentazione la regia, curata dallo stesso protagonista sulla scena, cuce le voci dei diversi personaggi che costruiscono il racconto di un padre violento fino all’ultimo che con il suo “potere divino” risolve anche le situazioni più drammatiche.
L’intera pièce, con gli occhi innocenti di un bambino, si sofferma sul potere distorto che la mafia raffigura e come una certa mentalità si pone nei suoi confronti senza però utilizzare eccessi o i soliti luoghi comuni.
Ogni momento dello spettacolo, introdotto dalla voce di Nicole Grimaudo, è diverso e mai uguale lasciando spazio alle emozioni e ai sentimenti con l’obiettivo ben preciso di smuovere quelle corde emotive capaci di scuotere le coscienze del numeroso pubblico presente, giustamente generoso negli applausi per tutte le due sere di programmazione tanto da regalare diverse standing ovation