CATANIA – Sei attori, tre donne e tre uomini che interpretano più personaggi ognuno con la caratteristica comune di non avere un nome ma un buffo costume o un attrezzo che funge da elemento distintivo che permette al pubblico di comprendere qual è il ruolo di quell’uomo manovrato da un destino già tracciato.
“Marionette, che passione”, secondo spettacolo della rassegna “Estate Castello Ursino” dello Stabile di Catania, in scena fino al 18 luglio, è un atto unico ispirato al testo del giornalista e drammaturgo nisseno Pier Maria Rosso di San Secondo abilmente diretto da Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi, che in chiave tragicomica racconta il peso della vita e il vuoto dell’anima umana agitata dalla passione, che trasforma ognuno dei protagonisti in disperate marionette che vogliono o devono stare a tutti i costi sulla scena.
Tutti i personaggi, interpretati dagli ottimi Giuseppe Carullo, Cristina Minasi, Gianluca Cesale, Manuela Ventura, Alessandra Fazzino e Ciccio Natoli, sono annientati da un destino che li vede succubi di una vita non vita diventando un simulacro di antieroi, che come dei pupi attaccati ad un filo non riescono a reggere il peso della vita. Spicca tra tutti l’interpretazione di Manuela Ventura, che con sapiente maestria racconta l’impotenza dell’animo umano nella disperata ricerca di quell’amore che dona senso all’esistenza senza però mai raggiungerlo.
Intelligente l’idea della scena di Cinzia Muscolino, autrice anche dei costumi, composta da un ricco guardaroba, tre gabbie metalliche movibili che disegnano i vari ambienti della storia dando libero sfogo alle creazioni di ambienti surreali dove le maschere dei vari personaggi si muovono goffamente sulla scena, incapaci di comunicare con chi li circonda e con il proprio tormento interiore, che con le musiche di Alberto Rabagliati o di Achille Togliani riportano il numeroso pubblico, generoso negli applausi, tra le atmosfere del secolo scorso.
L’attenta regia della coppia Carullo-Minasi riesce sapientemente ad amalgamare gli aspetti tragici e comici della drammaturgia di Rosso di San Secondo dove ogni protagonista è alla ricerca costante di quell’identità desiderata ma non appartenuta.