CATANIA – In occasione della Giornata della Memoria e nell’ambito delle attività dedicate all’educazione alla legalità, si è svolto un importante incontro nell’Aula Magna dell’Istituto De Felice Olivetti di Catania, sul tema “Gli ebrei e il diritto in Italia dal fascismo all’età repubblicana“, promosso dalla FIDAPA BPW Italy, Sezione Catania Riviera dei Ciclopi.
Ad aprire il convegno la Dirigente Scolastica, Prof.ssa Anna De Francesco, che, prendendo la parola, ha introdotto il tema dell’incontro: la situazione aberrante e disumana determinata dalle leggi razziali del 1938, un evento da ricordare affinché non accada mai più. La Dirigente ha sottolineato quanto la diversità rappresenti una ricchezza, che ogni individuo debba essere rispettato come persona con idee diverse e che la gentilezza sia il miglior mezzo per instaurare un dialogo rispettoso, privo di violenza.
“Viviamo in una società che ci permette di parlare e di farci ascoltare, e questa è la più grande vittoria“, ha concluso, ringraziando gli intervenuti e il personale scolastico che rende possibile la realizzazione di eventi di questo tipo.
La parola è poi passata alla Prof.ssa Graziella Gentile, presidente della FIDAPA, che ha dato il via ai lavori. In seguito, sono intervenuti la Prof.ssa Isabella Frescura, già professore aggregato al Dipartimento di Economia e Impresa dell’Università di Catania, moderatrice dell’incontro, e il Prof. Giuseppe Speciale, professore ordinario di Storia del Diritto Medievale e Moderno al Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Catania. La Prof.ssa Gentile ha espresso un auspicio: “Spero che il mondo non lasci nell’oblio ciò che è avvenuto nel Braciere della storia”.
La Prof.ssa Frescura ha aperto il suo intervento con una riflessione sull’importanza della FIDAPA, un’associazione che affonda le sue radici nel periodo fascista, nata con l’intento di promuovere la partecipazione attiva delle donne alla vita sociale, culturale ed economica del Paese. Un’istituzione che, nonostante la sua genesi in un contesto politico difficile, ha saputo adattarsi e continuare la sua missione anche dopo la fine del regime.
La Prof.ssa ha poi approfondito il significato della Giornata della Memoria, sottolineando come essa non si limiti a essere una commemorazione storica, ma rappresenti un monito universale contro l’intolleranza e la discriminazione. Il 27 gennaio 1945, infatti, le truppe sovietiche liberarono il campo di concentramento di Auschwitz, un evento che segnò la fine di una delle pagine più tragiche della storia dell’umanità, ma anche l’inizio di un processo di presa di coscienza globale sugli orrori perpetrati durante la Seconda Guerra Mondiale.
Il tema centrale del suo discorso si è incentrato sugli ebrei in Italia, una comunità che ha attraversato secoli di storia, affrontando momenti di integrazione e di persecuzione. In epoca romana, gli ebrei erano la comunità più numerosa in Italia, e la loro presenza era riconosciuta e integrata nella vita quotidiana del Paese. Tuttavia, con le invasioni barbariche, il numero degli ebrei in Italia diminuì drasticamente, sebbene la situazione cominciò a migliorare con l’arrivo degli Ostrogoti, che permisero il ritorno della comunità ebraica a una certa stabilità.
In Sicilia, sotto il dominio arabo, gli ebrei godettero di una relativa tolleranza, che consentì loro di esercitare liberamente le proprie attività commerciali e di partecipare alla vita economica dell’isola. Tuttavia, nonostante questa libertà, gli ebrei erano obbligati a distinguersi dalla popolazione locale attraverso un distintivo di colore giallo, una pratica che segnava in modo visibile la loro condizione di “altri”. L’arrivo di Federico II di Svevia segnò un momento di progresso, poiché con un editto di Melfi del 1231 il sovrano concesse agli ebrei il diritto di esercitare liberamente le attività commerciali e finanziarie, sancendo un passo avanti verso l’uguaglianza economica.
Tuttavia, con l’affermarsi della Chiesa come potere dominante, le difficoltà per gli ebrei aumentarono. La Chiesa, infatti, considerava l’attività di prestito di denaro un atto di usura, ed è proprio a partire da questa visione che si generarono ostilità crescenti nei confronti degli ebrei. Con l’arrivo dei predicatori e la crescente diffusione della dottrina cristiana, gli ebrei furono progressivamente emarginati e sottoposti all’Inquisizione. Questo periodo culminò nell’espulsione degli ebrei da molte città e Paesi, mentre nelle maggiori metropoli europee si iniziavano a creare i ghetti, quartieri segregati da cancelli che isolavano fisicamente e simbolicamente la comunità ebraica dalla restante popolazione.
Seppur i ghetti furono aboliti nel Settecento, con il passaggio dalla monarchia assoluta a forme di governo più moderne, la Restaurazione portò con sé una reazione conservatrice che rese nuovamente necessario il loro ripristino in alcune zone. Solo con l’Unità d’Italia, nel 1861, gli ebrei poterono finalmente accedere alla piena cittadinanza e partecipare attivamente alla vita politica del Paese, con l’abolizione delle leggi discriminatorie che li avevano relegati a un ruolo marginale nella società.
Tuttavia, la libertà e l’integrazione degli ebrei nella vita nazionale non durarono a lungo. Nel 1938, l’Italia fascista varò le leggi razziali, un atto che segnò il ritorno della persecuzione e della segregazione, ripristinando una politica di discriminazione che mirava a escludere gli ebrei dalla vita civile e politica.
La Prof.ssa Frescura ha poi ceduto la parola al Prof. Giuseppe Speciale, il quale ha ripreso e ampliato le riflessioni della Dirigente Scolastica, ponendo l’accento su un aspetto fondamentale della memoria storica: la Giornata della Memoria, istituita nel 2000 con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica, in particolare le nuove generazioni, sui crimini commessi durante l’Olocausto.
Questa giornata non è solo una commemorazione, ma rappresenta un’occasione per riflettere sulla necessità di mantenere viva la memoria collettiva, affinché simili atrocità non possano ripetersi. Il Professor Speciale ha ricordato che, attraverso questa legge, lo Stato italiano ha voluto rafforzare l’importanza della memoria storica nelle scuole e nella società, invitando tutti a riflettere su quanto avvenuto e a contrastare le forme di odio e di discriminazione che ancora oggi esistono.
Il professore ha poi proposto una riflessione critica, sottolineando che tutti noi, in qualche misura, siamo suscettibili di essere influenzati da sentimenti razzisti, anche senza esserne pienamente consapevoli. “Il razzismo è una tendenza che può insinuarsi in ognuno di noi“, ha dichiarato, invitando tutti, e in particolare gli studenti, a rimanere vigili e a fare uno sforzo cosciente per riconoscere e contrastare questo sentimento, che affonda le sue radici in pregiudizi e stereotipi.
Ha portato come esempio il linguaggio duro e spesso offensivo che si diffonde sui social media e nelle competizioni sportive, dove, troppo spesso, l’insulto e la discriminazione prendono il posto di un dialogo civile e rispettoso. Questo tipo di linguaggio, ha spiegato il professore, non è solo un riflesso di una società che non sa più comunicare in modo costruttivo, ma anche un veicolo di intolleranza che può portare a pericolosi estremismi.
A questo punto, il Prof. Speciale ha sollecitato la partecipazione attiva degli studenti, chiedendo se conoscessero quale fosse stata la prima reazione della popolazione italiana alle leggi razziali del 1938, un interrogativo che ha stimolato una riflessione profonda. Le leggi razziali, varate dal regime fascista, iniziarono come un provvedimento volto a discriminare gli ebrei in vari settori della vita pubblica, limitando il loro accesso alle professioni, alle proprietà e ai diritti civili.
Fino al 1943, le leggi si concentrarono principalmente su una persecuzione economica e sociale. Tuttavia, il primo effetto tangibile e immediato è stato qualcosa di più subdolo e diffuso: le lettere anonime. Queste lettere, che inviavano i cittadini italiani non ebrei, accusavano i propri vicini o colleghi di avere origini ebraiche, spesso per motivi di invidia, rivalità od opportunismo. La pratica di denunciare i “presunti” ebrei divenne un fenomeno preoccupante, che si estese in molte aree del Paese.
Nonostante la grande diffusione di queste lettere, molte di esse furono distrutte o nascosti, ma le indagini che venivano avviate ogni volta che una lettera veniva ricevuta lasciarono tracce che ancora oggi permettono di ricostruire una parte di quella dolorosa storia. In questo modo, la denuncia anonima divenne uno strumento di persecuzione sociale, un meccanismo di delegittimazione che alimentava il clima di paura e sospetto che si stava diffondendo nel Paese.
Attraverso questa riflessione, il Prof. Speciale ha messo in evidenza l’importanza di comprendere come il razzismo e l’antisemitismo non siano fenomeni isolati o relegati alla storia, ma piuttosto atteggiamenti che possono facilmente emergere in qualsiasi contesto sociale, se non vengono riconosciuti e combattuti.
Quando furono emanate le leggi razziali nel 1938, la reazione della popolazione italiana fu per lo più di indifferenza, con una scarsa mobilitazione contro quelle normative discriminatorie. Le voci di dissenso furono poche e isolate, ma ci furono comunque alcune eccezioni significative. Una di queste fu quella del Papa Pio XI, che fu tra i primi a denunciare apertamente la gravità della situazione e a prendere una posizione contro le leggi razziali, attraverso una lettera enciclica.
Anche il giornalista e politico Giorgio La Pira si distinse per la sua opposizione, arrivando addirittura a rifugiarsi in Vaticano, dopo che le autorità distrusse il suo giornale, che denunciava le leggi fasciste. La vera solidarietà, tuttavia, scattò solo a partire dal 1943, quando le leggi razziali, che inizialmente colpivano gli ebrei sotto l’aspetto economico e professionale, si trasformarono in una vera e propria persecuzione delle vite umane. A quel punto, con l’occupazione nazista e la fine del regime fascista, la situazione divenne insostenibile, e molte persone iniziarono ad alzare la voce, a mettere in gioco la propria vita per nascondere e proteggere gli ebrei.
Il Professore ha poi posto una domanda importante: quale è il lascito di quell’esperienza nelle leggi e nell’ordinamento giuridico italiano? Quali cicatrici sono rimaste a testimonianza di quel periodo buio della nostra storia? La risposta, ha spiegato, si trova nelle stesse fondamenta della nostra Costituzione. In particolare nell’articolo 3, che recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali”. Qui compare il termine “razza“, che, sebbene fosse fonte di disagio per molti ebrei, che l’avevano vissuto come strumento di esclusione, non si rimosse dai costituenti. La scelta di mantenerlo nel testo costituzionale, infatti, fu un atto di consapevolezza storica: non si inserì quel termine per legittimare le teorie razziste, ma come traccia della memoria storica, come monito per il futuro.
Un’altra cicatrice che il Professor Speciale ha individuato è nell’articolo 2 della Costituzione, che riconosce i diritti inviolabili della persona umana, tra cui la libertà e la dignità. La parola “riconosce” è significativa perché implica che i diritti siano intrinseci alla persona stessa. I diritti sono naturali, nascono con l’individuo, e lo Stato non fa altro che riconoscerli e proteggerli. Questo articolo rappresenta una delle risposte più forti e antifasciste nella nostra Carta fondamentale, in quanto si pone in netto contrasto con le leggi razziali del 1938, che invece negavano l’umanità e i diritti fondamentali a interi gruppi di persone in base alla loro origine.
Infine, l’articolo 113 della Costituzione sancisce un principio fondamentale: ogni cittadino ha il diritto di rivolgersi al giudice per la difesa dei propri diritti. Questo articolo rappresenta un ulteriore strumento di tutela, ricordando che, durante il periodo fascista e con le leggi razziali, non tutti erano ugualmente protetti dalla legge, e che il diritto di difesa non era garantito a chi, per esempio, era considerato “diverso” o “inferiore” in base a criteri razziali.
Il Professor Speciale ha concluso l’incontro con una riflessione profonda e significativa, rivolta soprattutto agli studenti, i cui occhi rappresentano il futuro della nostra società. Ha sottolineato l’importanza di non dimenticare mai le cicatrici lasciate dalle leggi razziali, cicatrici che non sono solo simboli di un passato doloroso, ma veri e propri moniti per le generazioni future.
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