Il telefonino è ormai diventato un oggetto di uso comune nella nostra società ed è addirittura impossibile per noi immaginare la nostra vita senza uno smartphone. A maggior ragione, in questo periodo di emergenza sanitaria, il cellulare è diventato uno strumento imprescindibile nella vita di ciascuno di noi per mantenere i nostri contatti con gli altri.
Umberto Galimberti, nel libro “I miti del nostro tempo” (Feltrinelli Editore, 2009), sottolinea che i nuovi mezzi di comunicazione possono non provocare nuove patologie ma sicuramente amplificano quelle già esistenti nell’individuo: l’uso che facciamo di internet, della posta elettronica, dei social network e del cellulare rivelano molte cose sul rapporto che abbiamo con noi stessi e con la realtà che ci circonda.
In un altro testo molto interessante sull’argomento dal titolo “Psicopatologia del cellulare. Dipendenza e possesso del telefonino” (Franco Angeli, 2003), Luciano Di Gregorio sottolinea che il modo in cui utilizziamo il telefonino è indicativo di molti aspetti della nostra personalità. Il cellulare, innanzitutto, è un potente regolatore dell’angoscia di separazione, legata all’assenza fisica ed emotiva dell’altro. Attraverso il telefonino, siamo sempre raggiungibili e ogni vissuto di mancanza e di perdita di contatto con l’altro è annullato. L’uomo contemporaneo è incapace di tollerare l’assenza e la mancanza, non sa stare solo con se stesso e vive la solitudine come un abbandono o, addirittura, come una perdita della propria identità.
L’utilizzo del cellulare garantisce inoltre un’illusoria onnipotenza sulla realtà e sugli altri. Le persone e gli eventi che ci interessano sono sempre sotto il nostro controllo grazie a un click, con un conseguente ridimensionamento dell’ansia che non viene più adeguatamente elaborata e gestita.
Un’altra patologia che il telefonino amplifica è sicuramente l’esibizionismo: tutto è ormai sotto gli occhi di tutti, persino ciò che dovrebbe essere più segreto e riservato. Con la possibilità di utilizzare i social network anche tramite lo smartphone, si possono condividere in qualsiasi momento i propri pensieri e le proprie emozioni, non correndo così il rischio di cadere nell’anonimato. Da un lato, è proprio la garanzia dell’anonimato che consente di mettere a nudo i propri sentimenti, i propri bisogni e i propri desideri più profondi; dall’altro lato, tuttavia, il terrore dell’anonimato assilla l’uomo contemporaneo il quale cerca di essere quindi al centro dell’attenzione e di non sentirsi isolato.
De Gregorio fa notare ironicamente che “cellulare” è anche il nome che si utilizza per indicare il mezzo usato per il trasferimento dei detenuti. Anche il telefonino dunque ci rende prigionieri e ci priva della libertà? Il non potersi più permettere di spegnere il cellulare o di essere irraggiungibile rappresenta in qualche modo una perdita della propria libertà. Come nota Galimberti, “acceso o spento che sia, il cellulare non ci dà scampo […] Non disponiamo più del nostro tempo per pensare le nostre risposte perché dobbiamo darle subito e di corsa, non abbiamo più la possibilità di interiorizzare i nostri amori perché, se non chiamano, è già subito abbandono. Non sappiamo più stare soli con noi per più di un’ora, e così la nostra interiorità si impoverisce”.
Chi utilizza in modo sregolato il proprio cellulare perde, in conclusione, il piacere dell’attesa e dell’imprevisto, non conosce più il valore del silenzio che è poi l’unico modo per entrare in comunicazione con noi stessi e per conoscerci. Se il telefonino ci ha permesso di essere in contatto con il mondo intero è pur vero però che in cambio ha voluto una grossa fetta della nostra libertà. Quindi, anche in questi tempi di pandemia in cui il telefonino sta diventando sempre più imprescindibile, cerchiamo di non diventarne schiavi e di mantenere il giusto contatto con gli altri e con la realtà che ci circonda.