CATANIA – La Sicilia si starebbe allontanando sempre più dalla Calabria. Questa è la scoperta fatta poco più di due mesi fa da un gruppo di ricercatori del Cnr, grazie allo studio dei movimenti della placca europea e di quella africana. Alcune microplacche con movimenti particolari sarebbero state individuate sotto il mar Ionio e potrebbero portare alla formazione di catene montuose e a rendere sempre più distante la nostra isola dal resto della nazione.
La zona è sempre stata nell’occhio del ciclone per l’abbondanza di terremoti già avvenuti in passato e che potrebbero tornare ad accadere in futuro. Se ciò si somma a quest’ultima rivelazione scientifica, si fa spazio a nuove riflessioni che ci porterebbero a immaginare il nostro territorio tra milioni di anni totalmente diverso da quello che è adesso, ma anche ad argomenti di più stretta e recente attualità.
Uno di questi ultimi è la costruzione del ponte sullo Stretto, che ormai da anni tiene banco e che ha scatenato la reazione del movimento politico dei Verdi, da sempre contraria e che, una volta ricevuta la notizia di questa scoperta, ha dichiarato come adesso si possa porre la parola fine alla questione. Andando più nello specifico, oltre alle microplacche, sarebbero stati notati dei particolari movimenti all’interno del mantello. Infine, data la presenza di questa “finestra” proprio sotto il mare, i danni derivanti da un evento sismico si attesterebbero su valori elevati.
Per capire la reale natura di questo fenomeno abbiamo sentito il dottor Mimmo Palano dell’Ingv, Istituto Nazionale Geofisica Vulcanologia di Catania, che in primis ci ha parlato della struttura geologica della zona e dei complessi movimenti geodetici misurati sul nostro territorio.
“La Sicilia costituisce un blocco crostale noto in letteratura come “micro placca Siculo-iblea” – spiega Palano –, intrappolato nella collisione continentale tra la placca euroasiatica e quella africana e si muove in modo indipendente. Tale blocco si estende dal canale di Sicilia fino al mar Tirreno, lungo una linea ideale che, congiunge Ustica e le isole Eolie e dalle isole Egadi fino alla costa orientale siciliana, ad esclusione del settore nord-orientale della Sicilia. Questo blocco crostale si muove in direzione nord-nord-ovest con velocità di circa 5-6 mm/anno, mentre la Calabria e il settore nord-est della nostra isola si muovono verso nord-nord-est al ritmo di un centimetro l’anno. In questo quadro, il sistema di faglie denominato Eolie-Tindari-Letojanni, lungo il quale si è generato il terremoto del golfo di Patti del 1978 sembra giocare un ruolo chiave. Il distacco della zona corrispondente ai Monti Peloritani non è da escludere, ma avverrebbe in tempi geologi molto lunghi”.
Riguardo alla “finestra” nel mar Ionio e ai movimenti all’interno del mantello, la causa è da ricercarsi ai processi tettonici in atto che interessano non solo la nostra isola, ma anche la Calabria, dove “avviene un processo di subduzione – continua Palano -. La placca ionica si infila sotto la Calabria e penetra all’interno del mantello terrestre fino a 500-600 chilometri di profondità. Il tutto è legato al processo di convergenza tra la placca africana e quella euroasiatica. Questa “lingua crostale” è delimitata da strutture tettoniche verticali, che formano delle finestre tettoniche. Il sistema di faglie “Eolie-Tindari-Letojanni” rappresenta l’espressione superficiale della struttura tettonica delimitante il bordo meridionale della placca ionica; mentre la linea del Pollino rappresenta l’espressione superficiale della struttura tettonica delimitante il bordo meridionale. Per il mare non possiamo ancora monitorare deformazioni nei fondali perché le tecniche attuali sono molto costose, però la presenza di faglie attive che tagliano la piana abissale e possono rappresentare l’espressione in superficie di tali finestre tettoniche è stata osservata mediante esperimenti di sismica attiva e passiva. L’ipotesi più accreditata per l’origine dell’Etna è proprio legata alla presenza di una finestra tettonica sotto lo ionio che ha permesso la risalita di fluidi magmatici e la nascita del vulcano “.
Infine, riguardo alla sismicità della zona e alla possibilità di costruire il ponte sullo Stretto vanno fatte alcune precisazioni. “Confermo che la presenza di questa strutture tettoniche attive sia nelle porzioni emerse che quelle a mare, accoppiata con l’occorrenza di terremoti distruttivi in passata – conclude Palano – integra gli studi già fatti, fornendo utili indicazioni sulla pericolosità sismica dell’area. In particolare, la zona orientale dell’isola è quella che vanta la maggiore pericolosità, mentre quella occidentale ce l’ha più bassa. Per quanto riguarda il ponte, suggerisco di acquisire nuovi dati geologici e geofisici, al fine di quantificare meglio i tassi di deformazione a cavallo dello stretto”.
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