Fumo e Coronavirus, tutto ciò che c’è da sapere: interviene il professor Nunzio Crimi

Fumo e Coronavirus, tutto ciò che c’è da sapere: interviene il professor Nunzio Crimi

CATANIA – Tanti i quesiti, i dubbi e le questioni concernenti gli eventuali rischi per i fumatori nel caso di contagio da Covid-19. Ai microfoni di NewSicilia, per fare maggiore chiarezza sul caso, è intervenuto un luminare del settore. Parliamo di Nunzio Crimi, direttore U.O.C. di Pneumologia ed Allergologia del Policlinico Gaspare Rodolico di Catania e professore ordinario di Malattie dell’apparato respiratorio dell’Università del capoluogo etneo.

Innanzitutto, abbiamo chiesto se essere un fumatore possa aumentare il rischio di contagio da Covid-19, innescando una differenza di “trattamento” e probabilità rispetto a coloro che, invece, non sono dipendenti dalle sigarette. Il professore ha così risposto: “Non ci sono informazioni sicure su questo argomento. Le nostre conoscenze su questo virus derivano da studi per la maggior parte retrospettivi e non controllati per le possibili variabili. Parlando del fumo, l’Organizzazione mondiale della sanità mette in guardia per un possibile incremento del rischio nei fumatori, ma questo non sembra apprezzarsi negli studi clinici. Una recente allerta dell’Istituto Superiore di Sanità pone l’attenzione al fumo di sigaretta e ribadisce che nuoce gravemente alla salute, ma nuoce di più nei tempi del Covid-19“.

Inoltre: “Studi condotti in Cina indicano un aumento significativo del rischio di almeno tre volte di sviluppare polmonite severa da Covid-19 in pazienti fumatori rispetto ai non fumatori. Approfittare dell’epidemia per smettere di fumare per i presunti effetti negativi del fumo e del maggiore rischio è un’opportunità che varrebbe la pena considerare per i fumatori“.

Non mancano, però, linee di tendenza di segno opposto che creano sicuramente confusione. Nello specifico, una ricerca francese avrebbe evidenziato, addirittura, una probabile “immunità” al contagio da Coronavirus per i fumatori, facendo leva sui recettori della nicotina. A tal proposito, è necessario precisare se si tratti solo di un’ipotesi o se ci siano studi confermati alle spalle. Il professor Nunzio Crimi ha così spiegato: “Bisogna tenere presente che lo studio in questione non ha un gruppo di controllo ma analizza una popolazione afferente alla città di Parigi con una grossa percentuale di operatori sanitari. È noto (e precisato anche nello studio) come la popolazione parigina in genere fumi meno della media nazionale francese. Va inoltre considerato che viene dichiarata un’alta percentuale di operatori sanitari nel gruppo di malati che non rappresenta la popolazione generale“.

Ancora: “Purtroppo il resto delle professioni coinvolte nello studio non sono disponibili, per cui è impossibile fare un paragone corretto. Inoltre, la ricerca prende in considerazione una popolazione di sintomatici lievi (seguiti in ambulatorio) ed una popolazione di sintomatici moderati (seguiti in regime di ricovero). Non prende in considerazione i pazienti asintomatici e, soprattutto, nemmeno i quadri gravi, ovvero quelli in Terapia Intensiva. Quindi, questa segnalazione deve essere interpretata come un indizio, più che come una certezza. Ammesso che il fumo di sigaretta abbia un ruolo protettivo, bisognerebbe capire da cosa questo effetto sia determinato“.

Poi puntualizza: “C’è da dire che lo studio non mostra in alcun modo i benefici dei recettori della nicotina sul contagio da Coronavirus. Semplicemente ipotizza che i virus ‘SARS-CoV2 usano il recettore ACE2 per entrare nella cellula e ci sono evidenze che la nicotina modula l’espressione di ACE.i’. È palese come l’argomento sia ancora aperto e non si possano trarre ferme conclusioni“.

L’isolamento di questi recettori, da utilizzare nella “lotta” contro il Covid-19, è una delle strade possibili da percorrere a detta del nostro intervistato ad una condizione: “Andrebbe approfondita maggiormente dal punto di vista biologico, ma alcuni recettori possono essere ‘silenziati’ in maniera tutto sommato molto sicura (usando gli ACE-inibitori come il telmisartan, farmaci sicuri e già in commercio). Alcuni studi su queste molecole sono stati di recente registrati su clinicaltrial.gov e a breve inizieranno il reclutamento. Si sta cercando di combattere il virus in ogni modo possibile (vaccini, anticorpi monoclonali, plasma iperimmune, antivirali, blocco recettoriale). La speranza è trovare rapidamente una via efficace e sicura“.

Scendendo più a fondo nella tematica, nel caso di accertata positività al Covid-19, uno dei dubbi più frequenti è quello relativo al probabile “passaggio quasi obbligato” per le Terapie Intensive avendo un quadro clinico più grave rispetto ai non fumatori al momento del ricovero. Per meglio comprendere quanto detto e per verificare se, dal punto di vista medico in queste affermazioni ci sia un fondo di vero oppure no, è intervenuto il professore Crimi spiegando: “Ancora non siamo in grado di dire se un fumatore è a rischio maggiore o minore di finire intubato. Una serie di studi mettono in guardia dal fatto che il fumo possa rappresentare un fattore di rischio per quadro più severo di Covid-19, ma altri studi non trovano questa associazione. C’è da sottolineare però che le malattie cardiovascolari, le patologie polmonari e gli stati pro trombotici di per sé rappresentano, invece, certamente un incremento di rischio per malattia severa, e il fumo è in grado di determinare tutte e tre le condizioni“.

Ha aggiunto: “Non è certo che si debba ricorrere necessariamente alle Terapie Intensive ma, indipendentemente dagli studi, è logico pensare di sì. In realtà, il fumo rappresenta un fattore di rischio certo nella misura in cui determina una patologia cardiovascolare o polmonare. Una cosa è gestire una polmonite severa, un’altra è gestire una polmonite severa in un paziente che ha una patologia associata. È sicuramente dimostrato che l’età e le patologie associate aumentano il rischio di mortalità per polmoniti da Covid-19“.

Abbiamo sempre parlato solo di sigarette, senza considerare quelle elettroniche. In questi casi il rischio connesso al contagio da Covid-19 è minore, uguale o maggiore? A questa domanda il professore ha risposto: “Non esiste nulla di significativo in letteratura a tal proposito, nemmeno lo studio francese che citavamo prima prende in considerazione un numero di ‘svapatori’ sufficiente a trarre alcun tipo di ipotesi. In questo caso ci viene incontro il buonsenso. Naturalmente ogni cosa inalata espone al rischio di contrarre la malattia, se vale per la semplice aria che respiriamo, figuriamoci per la sigaretta elettronica. La stragrande maggioranza degli svapatori usa un unico boccaglio per lunghissimi periodi, cambiando al massimo la resistenza della sigaretta elettronica. Inoltre, quando la prende senza essersi prima igienizzato le mani, può trasportare virus sul boccaglio. Ricordiamo anche che sono state dimostrate polmoniti indotte da sigarette elettroniche. Se non è la scienza a dimostrarci un rischio maggiore, certamente ce lo suggerisce il buon senso“.

Infine, occorre analizzare le eventuali differenze significative uomo/donna anche per quanto riguarda la correlazione fumatori/Coronavirus, dato che gli uomini sarebbero più colpiti dal virus rispetto al sesso opposto. Il nostro intervistato ha subito fatto chiarezza: “Alcuni studi ipotizzano che il maggior tasso di infezioni negli uomini possa essere determinato dalla maggior prevalenza di fumatori tra gli uomini piuttosto che tra le donne. Ci possono essere svariati altri motivi che possono giustificare questa discrepanza. Alcuni di natura sociale (l’occupazione maschile è superiore a quella femminile, per cui è possibile che il virus abbia più possibilità di essere scambiato tra uomini, anche nonostante il lockdown). Altre possono essere di natura ormonale o immunitaria. Gli uomini sono più predisposti a patologie cardiovascolari e polmonari che sembrano essere associate al contagio. D’altro canto le donne hanno un assetto immunitario differente rispetto agli uomini. Se da un lato questo le espone ad un maggior rischio di sviluppare patologie autoimmuni, dall’altro può fornire qualche forma di difesa dal contagio. Va però precisato che sono tutte ipotesi che necessitano di essere considerate con prudenza e dimostrate scientificamente“.

Il professor Nunzio Crimi, esperto qualificato e professionale, oltre a dare una corretta visione sul caso, ha fornito una significativa lezione di vita – facilmente intuibile dalle sue parole – che tutti dovrebbero tenere a mente.