CATANIA – Lo smartphone è diventato ormai un oggetto fondamentale dal quale non riusciamo più a separarci. Lo usiamo praticamente per tanti compiti di vita quotidiana e non ci sono dubbi che siano utili sotto vari aspetti.
Talvolta, però, questa utilità si trasforma nei giovanissimi in dipendenza. Vedere adolescenti con le cuffiette nelle orecchie, sguardi fissi sugli schermi oppure dita che alla velocità della luce digitano sul vetro dell’apparecchio sono scene di tutti i giorni.
Si parla sempre meno e si dedica sempre meno tempo alle attività sociali, soprattutto quelle con la famiglia. Se è vero che le nuove tecnologie hanno ridotto le distanze fisiche, consentendo di avere contatti anche con persone che vivono lontano, allo stesso tempo spesso i giovanissimi si trovano presenti solo con il corpo, aumentando così le distanze emotive.
Come sostiene il dottor Davide Ferlito, psicologo catanese, non è raro, infatti, che si viva come in una realtà parallela in cui il virtuale sostituisce, a tutti gli effetti, il reale, dove è più importante il numero di like o di contatti piuttosto che un sano scambio emotivo.
“L’uso/abuso dello smartphone riduce notevolmente i contatti umani autentici, fino al vero e proprio isolamento sociale. Da un lato, infatti, si riducono le occasioni di svago e la vita diventa ridondante e routinaria, dall’altro non ci si confronta con tutte quelle occasioni sociali che, pur potendo essere fonte d’ansia, rappresentano compiti di sviluppo fondamentali. In sostanza non ci si confronta con le grandi sfide della vita, ma ci si avvale del mezzo come via di fuga da quest’ultime. In una sorta di processo circolare, più si è insicuri e più ci si rifugia sullo smartphone, più tempo si passa con il cellulare e meno possibilità si hanno di sperimentarsi nella propria realtà sociale e, di conseguenza, aumenta la paura dell’incontro con l’altro”.
Proprio la paura di relazionarsi con l’altro induce gli adolescenti a preferire i rapporti virtuali che sono immediati e fungono da filtro che aiuta a superare l’ansia dell’incontro sociale. Non è difficile, infatti, che dietro un uso esclusivo del mezzo tecnologico si possano celare forme di bassa autostima e problematiche relazionali, come la paura di un eventuale rifiuto. “Questa iperconnessione con la rete porta con sé un consistente senso di solitudine – afferma lo psicologo -. Se lo smartphone può diventare un appiglio per una vita sociale, rischia, tuttavia, di fagocitare il soggetto negandogli anche la possibilità di vivere occasioni di incontro, dove condividere esperienze e frequentare altre persone. Al desiderio di essere parte di un gruppo, base fondante di un sano sviluppo personologico, si è sostituito il desiderio di essere parte di una massa indifferenziata, dove è più importante il numero di follower piuttosto che quello di amici in carne e ossa”.
Se usati con la giusta moderazione, i cellulari possono essere di sostegno alla socialità dei giovani, ma è necessario che tali mezzi non si sostituiscano alla vita reale, soprattutto nelle esperienze con mamma e papà che risultano sempre più difficili. “Gli adolescenti devono poter fare le proprie esperienze, consapevoli che anche quelle negative saranno fonte di apprendimento e crescita – dichiara l’esperto -. I genitori, dal canto loro, hanno, talvolta, la tendenza a lasciare troppo campo libero ai propri figli, cullandosi proprio della sorveglianza che lo smartphone può permettere, favorendone, implicitamente, un uso maggiore”.
“Sembrerà, inoltre, paradossale ma se da un lato l’iperprotettività e l’apprensione oggi trovano sfogo nell’uso della tecnologia, dall’altro non è raro che tra genitori e figli si sviluppi la stessa distanza comunicativa che quest’ultimi hanno con i loro pari – conclude -. Il rapporto virtuale, infatti, ha sostituito quello reale, non solo tra i coetanei ma anche tra genitori e figli che comunicano sempre di più attraverso questi mezzi, riducendo notevolmente la comunicazione tra le parti. Ritornare a parlarsi, favorendo il dialogo con i propri figli, risulta indispensabile per aiutarli a recuperare il desiderio di avere rapporti umani reali”.
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