CATANIA – Con un recentissimo provvedimento di pochi giorni fa (4 novembre scorso), il Tribunale di Catania ha ordinato l’intervento in giudizio della figlia maggiorenne all’interno di un giudizio di separazione dei propri genitori. Ma analizziamo la vicenda.
Dinanzi al Giudice etneo, in funzione di presidente, un padre chiedeva che il figlio minore (di 16 anni) venisse collocato presso di sé e domandava che la moglie venisse condannata al pagamento di un assegno di mantenimento in favore dei due figli della coppia. L’uomo, infatti, aveva asserito di provvedere da solo al mantenimento della prole: del minorenne e della figlia maggiorenne non autosufficiente economicamente.
Di contro, la moglie chiedeva il collocamento del figlio minore presso di sé con la conseguente assegnazione della casa familiare e domandava la condanna del marito al versamento di un contributo di mantenimento per lei e per il figlio.
Il Giudice etneo non ha dubbi: il minore va ascoltato, la figlia maggiorenne deve intervenire nel processo. In sostanza, la separazione diventa una questione di famiglia, non più limitata ai soli coniugi. E, per questo, in Tribunale va chiamata tutta la famiglia.
Riguardo al minorenne nulla quaestio. L’intera normativa in materia di diritti del fanciullo (Convenzione europea sull’esercizio dei diritti del fanciullo, Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea e Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia), richiamata puntualmente dal Tribunale, stabilisce l’audizione diretta del minore laddove sia opportuno che il Giudice, ai fini della decisione, ascolti i suoi interessi e desideri. Parliamo di un soggetto la cui minore età postula che qualcuno prenda una decisione al posto suo circa il suo collocamento.
Decisione che, tuttavia, non può prescindere dal conoscere la volontà del ragazzo, che può legittimamente preferire l’uno o l’altro genitore.
La novità è l’ordine di intervento della figlia maggiorenne. Perché ordinare la sua partecipazione al processo? La motivazione resa dal Tribunale di Catania è che il padre, asserendo di provvedere da solo al mantenimento dei due figli, finisce inevitabilmente col coinvolgere anche la figlia maggiorenne.
In particolare, viene richiamata la giurisprudenza della Cassazione (v. sentenza n. 4296/2012), secondo cui il figlio maggiorenne non economicamente indipendente è assimilabile al minorenne e ciò comporta un ampliamento del contraddittorio nei suoi confronti. Pertanto, secondo il Giudice catanese, sussistono le “condizioni per ordinare l’intervento in causa della figlia maggiorenne onde consentirle l’esercizio dei suoi diritti inviolabili, oggetto di tutela costituzionale e sovranazionale in ragione delle sue esigenze alla stregua della sua condizione personale, familiare, abitativa e di studio, formulando altresì, ove lo ritenga, nell’esercizio di una prerogativa espressamente riconosciutale dall’ordinamento, istanza di versamento diretto (del mantenimento) in proprio favore a carico dei genitori”.
Insomma, il figlio maggiorenne che, per una serie di motivi, possa dirsi assimilabile al minorenne, va coinvolto nel processo. Detto provvedimento interlocutorio sollecita una riflessione: ma i figli desiderano intervenire? il doversi obbligatoriamente confrontare con un soggetto terzo all’interno di un contesto alieno all’ambito domestico in merito ai propri sentimenti nei confronti dei propri genitori, potrebbe risolversi in un autentico caos emotivo, in un trauma ben difficilmente superabile a pregiudizio del figlio?
Chissà se questa riflessione riesca a raggiungere anche i coniugi in crisi inducendoli a volgere una diversa attenzione sui figli, protagonisti inconsapevoli di uno spettacolo che tutti loro (figli maggiorenni e minorenni) vorrebbero finisca a lieto fine.
Immagine di repertorio
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