Ogni anno il 25 novembre si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 17/12/1999 attraverso la Risoluzione 54/134 per sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema della violenza contro le donne.
Da tempo nelle pubbliche piazze, nelle scuole e in altri luoghi si possono notare dei simboli (panchine rosse, scarpe rosse etc..) che evidenziano, purtroppo, la morte di donne a causa di violenza (scarpe rosse), volendo al contempo sensibilizzare sull’emergenza (panchine rosse), onde informare e prevenire qualsivoglia tipo di violenza.
In Italia si sono succeduti diversi interventi legislativi, volti a contenere il fenomeno della violenza di genere, nonché a dare adeguati strumenti di tutela alle vittime, introducendo nuove fattispecie di reato e inasprendo le pene per alcune tipologie di reato, ciò per cercare di arginare il fenomeno che ogni anno fa registrare centinaia di vittime.
Il legislatore ha adottato nel tempo numerosissime cautele per contenere la commissione dei reati contro le donne, ma ciò nonostante tale tipologia di delitti non ha accennato a diminuire.
Il primo intervento legislativo si è avuto con la Legge n. 69/2019, il c.d. “Codice Rosso”, che innova e modifica la disciplina sostanziale e processuale della violenza domestica e di genere, prevedendo inasprimenti sanzionatori non indifferenti al fine di contenere il grave fenomeno.
Tale legge ha previsto una maggiore protezione per quanto riguarda le vittime e un’accelerazione per l’avvio del procedimento. Infatti la polizia giudiziaria, acquisita la notizia di reato, ne riferisce immediatamente al Pubblico Ministero, anche in forma orale. Il Magistrato Requirente, nelle ipotesi nelle quali proceda appunto per i delitti di violenza domestica o di genere, entro 3 giorni dall’iscrizione della notizia di reato deve assumere informazioni dalla persona offesa o da chi ha denunciato i fatti di reato.
Questo particolare meccanismo viene adottato per evitare che vi sia un “vuoto” temporale fra l’acquisizione della notizia di reato e la trasmissione al pubblico ministero, in quanto si ritiene che, per taluni reati, vi sia la necessità di intervenire immediatamente e tutelare la persona offesa senza ritardi. Tale termine può essere prorogato solamente in presenza di imprescindibili esigenze di tutela di minori o della riservatezza delle indagini, oppure nell’interesse della persona offesa.
In ogni caso il Codice Rosso è entrato in vigore non solo per tutelare le donne ma per prevenire e porre un freno alla violenza di genere. Con il termine “violenza di genere” il legislatore vuole individuare tutte quelle forme di violenza, da quella psicologica e fisica a quella sessuale, dagli atti persecutori allo stupro, fino ad arrivare a comprendere il fenomeno del femminicidio, che riguardano un vasto numero di persone discriminate in base al sesso.
I nuovi reati introdotti
Nel codice penale sono stati aggiunti 4 nuovi reati, che hanno suscitato maggiore allarme sociale, per cercare di perseguire i comportamenti che ledono la persona e che non erano ancora stati disciplinati dal codice penale:
- Il delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate (c.d. “revenge porn”), è previsto dall’art 612 ter c.p., (punito con la reclusione da 1 a 6 anni e con la multa da € 5.000 a € 15.000) e persegue anche chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video, li diffonde a sua volta al fine di recare nocumento agli interessati. La fattispecie risulta essere aggravata se i fatti sono commessi nell’ambito di una relazione affettiva, anche cessata, o con l’impiego di strumenti informatici. Nel caso in cui i fatti siano commessi in danno di persona in condizione di inferiorità psichica o fisica, la pena è aumentata da 1/3 alla metà.
- Il reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, è previsto dall’art. 583 quinques c.p. (punito con la reclusione da 8 a 14 anni). Tale articolo è stato introdotto per tutelare maggiormente le vittime che subiscono un deturpamento del volto a causa dell’uso di varie sostanze. Quando alla commissione di tale delitto consegua l’omicidio è prevista la pena dell’ergastolo. La riforma, inoltre, inserisce questo nuovo delitto nel catalogo dei reati intenzionali violenti che danno diritto all’indennizzo da parte dello Stato.
- Il reato di costrizione o induzione al matrimonio è previsto dall’art. 588 bis c.p. (punito con la reclusione da 1 a 5 anni), e con esso si ha l’intenzione di porre un freno al “matrimonio forzato”. Con tale termine si vuole definire un matrimonio nel quale il consenso manifestato da almeno una delle due parti è stato estorto tramite violenze, minacce o altre forme di coercizione (da non confondere con il “matrimonio combinato”). La fattispecie è aggravata quando il reato è commesso in danno di minori e si procede anche quando il fatto è commesso all’estero da, o in danno, di un cittadino italiano o di uno straniero residente in Italia. Si tratta di un delitto che è stato introdotto anche per cercare di impedire il fenomeno delle “spose bambine”.
- La violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa è previsto dall’art. 387 bis c.p. ed è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni. In tal caso il legislatore mira a tutelare le vittime dei reati che hanno portato all’applicazione della misura, in maniera tale da impedire al reo di avvicinarsi ad esse. Infatti, la prima misura cautelare riguarda l’allontanamento dalla casa familiare, ex art. 282 bis c.p.p., ed impone all’imputato/indagato di lasciare immediatamente la casa familiare, di non farvi rientro, e comunque di non accedervi senza l’autorizzazione del giudice che procede. La seconda misura cautelare riguarda il divieto di avvicinamento ai lunghi frequentati dalla persona offesa, ex art. 282 ter c.p.p. e viene tipicamente applicata nei confronti di chi è indagato/imputato per il reato di stalking.
Le sanzioni “intensificate” del Codice Rosso
Il Codice Rosso ha inoltre inasprito le sanzioni già esistenti per alcuni reati:
- il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi passa da un intervallo compreso tra un 2 e 6 anni passa ad un minimo di 3 e un massimo di 7;
- gli atti persecutori (il c.d. “stalking”) passano da un intervallo compreso fra 6 mesi a 5 anni ad un minimo di 1 anno e un massimo di 6 anni e 6 mesi;
- la violenza sessuale passa da un intervello compreso fra 5 a 10 anni ad un minimo di 6 e al massimo di 12 anni;
- la violenza sessuale di gruppo passa da un intervallo compreso fra 6 a 12 anni ad un minimo di 8 e un massimo di 14 anni.
La ratio degli interventi legislativi è quella di introdurre deterrenti molto più forti rispetto al passato per arginare un problema sociale sempre più preoccupante e allarmante.
Tra gli ultimi interventi legislativi si evidenzia quello del 7 marzo del 2025, con il quale il legislatore ha introdotto un autonoma fattispecie di reato, ovvero il femminicidio, art. 577 bis c.p. che prevede l’ergastolo per chi uccide una donna per motivi di odio, discriminazione, prevaricazione, controllo, possesso o dominio, in relazione al rifiuto della donna di avere una relazione, o come atto di limitazione delle sue libertà individuali. In assenza di queste specifiche motivazioni, si applicano le pene ordinarie previste per l’omicidio, eventualmente aggravate.
È evidente che in un quadro normativo così ampio e variegato un ruolo determinate è affidato, rispettivamente ed in ordine temporale:
- alle forze dell’ordine, che per primi entrano in contatto con le vittime raccogliendo le loro dichiarazioni;
- ai centri antiviolenza che pongono in essere attività di natura preventiva e di supporto psicologico;
- ai legali che dovranno gestire gli aspetti processuali.
Le forze dell’ordine svolgono un ruolo cruciale nella prevenzione, nella repressione e nella tutela delle vittime dei reati di violenza di genere, attraverso l’attività di pronto intervento, l’adozione di misure di protezione, l’applicazione del “codice rosso” e l’uso di banche dati come “Scudo”.
La loro azione si concentra sull’accertamento dei fatti, sulla protezione immediata della persona offesa e sulla raccolta di informazioni per futuri interventi.
L’attività di polizia mira a prevenire i reati, anche attraverso l’individuazione dei cosiddetti “reati spia” che possono indicare una potenziale escalation della violenza.
Le forze dell’ordine raccolgono dati e informazioni che vengono inseriti in banche dati per una migliore comprensione e gestione del fenomeno.
L’assistenza legale alle vittime di reati di violenza domestica e di genere è coperta dal patrocinio a spese dello Stato, indipendentemente dalle condizioni reddituali della persona offesa: ciò significa che non è necessario corredare la richiesta di ammissione al gratuito patrocinio con documentazione di carattere reddituale, poiché l’accesso all’istituto è un automatismo.
È fondamentale che le persone vittime di maltrattamenti in famiglia, atti persecutori, violenza sessuale e altri reati di violenza di genere, siano accompagnate, nel corso del procedimento penale, da professionisti preparati; professionisti che, oltre ad avere maturato una profonda conoscenza di tutti gli aspetti di carattere sostanziale e processuale, siano anche in grado di confrontarsi con gli altri operatori coinvolti, quali i servizi sociali, i centri antiviolenza ed il personale sanitario.
In particolare, per quanto concerne i centri antiviolenza, essi si pongono come sportelli territoriali che si occupano di prevenire e contrastare ogni violenza fisica, psichica, sessuale o economica e ogni forma di discriminazione. Parallelamente, si sono sviluppate associazioni in grado di avviare adeguati percorsi di cambiamento per uomini che agiscono con violenza all’interno della coppia.
La partecipazione attiva a tali percorsi da parte di imputati per reati di violenza è divenuta condizione necessaria per la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Il “percorso di recupero” per maltrattamenti in famiglia si riferisce a programmi obbligatori per gli autori del reato, imposti dal Giudice come condizione per la sospensione della pena o il beneficio di altre misure. Questi percorsi, gestiti da enti accreditati dal Ministero della Giustizia, hanno come obiettivo la rieducazione e la prevenzione della recidiva, attraverso un lavoro multidisciplinare di valutazione, consapevolezza delle proprie azioni e gestione delle emozioni.
Caratteristiche del percorso
- Obbligatorietà: L’adesione è un obbligo di legge per ottenere la sospensione della pena e non è soggetta a discrezione del giudice.
- Enti accreditati: I percorsi sono svolti presso centri accreditati dal Ministero della Giustizia e devono rispettare specifici requisiti professionali e organizzativi.
- Equipe multidisciplinare: Gli interventi sono condotti da professionisti come assistenti sociali, psichiatri, psicologi, criminologi e avvocati.
- Struttura del programma: I percorsi possono includere gruppi strutturati e semi-strutturati, con incontri a cadenza almeno bisettimanale e una durata definita.
- Valutazione iniziale e periodica: Prima dell’inizio, viene effettuata una valutazione per determinare la motivazione e l’eventuale presenza di disturbi psichiatrici o dipendenze. Vengono inoltre previste valutazioni periodiche.
- Documentazione: Ogni attività deve essere documentata e monitorata, anche attraverso comunicazioni all’autorità giudiziaria.
Obiettivi del percorso
- Consapevolezza: Aiutare l’autore del reato a comprendere e riconoscere i propri comportamenti violenti e il loro impatto sulla vittima.
- Gestione delle emozioni: Lavorare sul riconoscimento e sulla gestione di emozioni come aggressività e rabbia.
- Sviluppo di skill: Potenziare le competenze e le capacità di vita (life skills).
- Prevenzione della recidiva: Ridurre il rischio che l’individuo commetta nuovamente reati.
Brevi cenni sui risvolti civilistici
La violenza di genere ha risvolti anche nell’ambito dei procedimenti di separazione giudiziale, determinando l’addebito della separazione al coniuge violento, anche per un solo episodio grave.
Le violenze fisiche e morali sono considerate una gravissima violazione dei doveri coniugali, che porta automaticamente all’addebito senza bisogno di comparare il comportamento della vittima.
La giurisprudenza riconosce il risarcimento del danno e i giudici dispongono di poteri istruttori e di tutela per le vittime. Le novità introdotte dalla Riforma Cartabia permettono di ottenere sia la separazione, sia provvedimenti di protezione (come l’ordine di allontanamento dalla casa familiare) in un unico giudizio.
Conseguenze legali dell’addebito
- Addebito della separazione: La violenza, se accertata, causa l’addebito della separazione al coniuge violento.
- Nessuna comparazione del comportamento: Il giudice non è tenuto a comparare il comportamento della vittima con quello dell’aggressore, poiché la violenza è di per sé una causa sufficiente.
- Risarcimento dei danni: Può essere accordato un risarcimento dei danni per la lesione di un interesse ulteriore, tutelato dall’ordinamento.
Procedure e tutele legali
- Procedimento unico: È possibile richiedere la separazione e l’ordine di protezione (ad esempio, l’allontanamento del coniuge violento) nello stesso giudizio.
• Corsia preferenziale: I procedimenti che coinvolgono violenza o abusi hanno una corsia preferenziale con termini processuali ridotti.
• Poteri del giudice: - Abbrevia i termini processuali.
- Dispone di ampi poteri istruttori per verificare le violenze.
- Può evitare la presenza contemporanea delle parti in udienza.
- Può secretare l’indirizzo della vittima per garantirne la sicurezza.
- Può disporre l’intervento dei servizi sociali.
- Procedimenti penali: L’eventuale procedimento penale non sospende il procedimento civile di separazione.
- Procedimenti pendenti: Il giudice deve verificare l’eventuale pendenza di procedimenti penali e chiedere informazioni al Pubblico Ministero.
Un ruolo centrale è attribuito anche alla vittima di violenza che dovrà documentare le condotte violente (fisiche, verbali etc..) tramite la raccolta di messaggi, fotografie, email o altre documentazioni attestanti le violenze; può chiedere anche un ordine di protezione in modo tale da impedire all’aggressore di avvicinarsi e/o comunicare con la vittima, quindi informare il proprio difensore di tutti i comportamenti violenti che dovranno essere riportati nel ricorso per separazione.
I diversi interventi legislativi mirano alla tutela della vittima di violenza, intesa nel suo più ampio significato (fisica, psichica ed economica), cercando di prevenire e/o evitare da un lato condotte ulteriori (si pensi all’applicazione del braccialetto elettronico per evitare l’incontro tra la vittima e il reo) dall’altro sono stati previsti inasprimenti delle pene per scoraggiare l’attuazione di condotte violente. Inoltre si è previsto anche un sistema di tutela economica della vittima, a partire dalla possibilità di usufruire del patrocinio a spese dello Stato per sostenere i costi del processo, nonché un sistema di interconnessione tra il procedimento penale e l’eventuale procedimento di separazione volto a tutelare le vittime di violenza, snellendo e accelerando i tempi dei procedimenti mettendo in campo una serie di strumenti processuali volti alla tutela sia delle vittime che della prole che, inevitabilmente, subiscono gli effetti negativi delle condotte violente.




