PATERNÒ – Dopo il presunto “inchino” dello scorso 2 dicembre, il comune di Paternò corre ai ripari per salvare la faccia e l’anima della festa di Santa Barbara.
Per l’occasione, infatti, l’amministrazione sta creando un regolamento che proibisca ai pregiudicati di prendere parte alla manifestazione e che crei un percorso obbligato per i cerei. Inoltre, il comune sta anche pensando di abolire i contributi economici per i portatori che qualche giorno fa sono stati autori del gesto che ha dato vita allo scandalo.
A spiegare la posizione presa è il sindaco del comune etneo Mauro Mangano: “Non accettiamo che la nostra immagine possa essere inquinata da una minoranza legata alla cultura mafiosa. Per questo abbiamo deciso di organizzarci contro chi pensa di poter imporre imporre uno stile di vita che non ha nulla a che fare con le nostre idee”.
La cittadinanza ha risposto bene e con fermezza all’accaduto. Oggi, per esempio, nel corso della messa celebrata nella chiesa di Santa Barbara, in molti si sono presentati con degli striscioni contro la mafia.
Anche l’assessore alla cultura di Paternò Valentina Campisano ha espresso il suo pensiero con una lettera aperta, che riproponiamo integralmente:
“Caro mafioso, volevo avvertirti che se pensi di potere ancora spadroneggiare nella nostra città ti sbagli di grosso. Se fino a qualche anno fa la società civile rimaneva sbigottita e troppo silente di fronte ai tuoi atti osceni, oggi, invece, siamo pronti a reagire in difesa di tutta la città.
Vedi caro mafioso, noi siamo in tanti e non vogliamo più sentire parlare di mafia, di boss, di inchini, di baci e di soprusi. Vogliamo parlare del nostro territorio, ricco di risorse, di storia, di tradizione e di cultura. Vogliamo parlare della gente che ogni giorno lavora onestamente e contribuisce alla crescita della nostra città. Vogliamo parlare degli imprenditori che denunciano il pizzo, degli insegnanti che educano i nostri bambini alla legalità, della gente che ogni giorno impiega buona parte del suo tempo per servire un pasto caldo alla mensa sociale, di quanti si adoperano costantemente per fare di Paternò una società migliore. Vogliamo parlare di arte, di musica, di libri, di storia, di tradizioni, di cultura.
E per fare questo, caro mafioso, tu te ne devi andare. Noi non possiamo più tollerarti. Non possiamo più accettarti come un fatto, sì spiacevole, ma comunque inevitabile. Siamo decisi a resistere e qualunque intimidazione dovessimo ricevere otterrebbe soltanto l’effetto di moltiplicare la nostra determinazione contro ogni sorta di sopraffazione.
Tu non ci rappresenti caro mafioso, e sebbene qualche giornalista in cerca di scoop vuole far credere il contrario, tu non sei lo specchio della città.
Il tuo gesto insulso, fatto nel nome della nostra Barbara, ha suscitato in noi rabbia e repulsione, contro di te e contro tutto quello che rappresenti e non tollereremo più che si dica “tanto è sempre stato così”, perché questo è il momento di cominciare a cambiare le cose. Te ne devi andare, caro mafioso, qui non hai più cittadinanza.
Qui ci devono abitare i contadini che si spaccano la schiena, i commercianti che tirano su la saracinesca alle 7.00 del mattino, i bambini che vanno a scuola per avere un futuro, le donne che lavorano e tornano a casa stanche e devono badare pure alla casa. Caro mafioso, ti sei accorto di quanto è bella l’Etna che sovrasta il paese, di quanto luccica il nostro barocco, di quanto profuma la nostra campagna, di quanto è viva la nostra gente.
Cosa c’entri tu con tutto questo splendore? Cosa c’entra la mafia con la nostra Paternò? Cosa c’entra la nostra Barbara, la nostra fede, con la violenza, con la morte, il malaffare, il pizzo, la corruzione che hai per anni imposto alla nostra terra? Non c’è più posto per te.
Te lo dico da donna, da lavoratrice, da avvocato, da amministratrice, da Fedele barbarina e soprattutto da paternese. Te lo dico e non sarò la sola. Te lo diremo in tanti oggi per l’ennesima volta e ci auguriamo di cuore che sia l’ultima. La fine di un incubo e l’inizio di una nuova alba, quella del riscatto”.
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