Carne? Antibiotici, pesticidi, ormoni… Ecco cosa mangiamo

CATANIA – Vi abbiamo già parlato degli allevamenti e di come gli animali vivono in condizioni di stress e malessere continuo, in gabbie piccole, buie e in condizioni igieniche intollerabili. Tutto questo ha una ricaduta sui prodotti di derivazione animale che mangiamo, ma in che modo esattamente?

“È facile che gli animali si ammalino in condizioni del genere – spiega la biologa nutrizionista, consulente per la sicurezza alimentare, Valentina Ronsisvalle – e per evitarlo gli allevatori ricorrono in maniera massiccia agli antibiotici che poi vengono assorbiti dall’organismo e finiscono direttamente nelle loro carni, nel latte e nelle uova. Tutto ciò, naturalmente provoca una resistenza dei batteri agli antibiotici davvero preoccupante”.

In effetti l’Italia si conferma ai primi posti tra i consumatori di antibiotici per animali da macello, tanto che si è calcolato che almeno il 71% di tutti quelli venduti in Italia va a finire negli allevamenti e poi automaticamente nei nostri piatti e sulle nostre tavole. Un consumo al di sopra della media degli altri paesi dell’Ue.

Le statistiche sono sconcertanti, per produrre 1 chilogrammo di carne sono necessari 100 milligrammi di antibiotici. Questo vuol dire che normalmente un italiano, calcolando un consumo medio di carne, assume ogni anno almeno 9 grammi di antibiotici. Eppure ormai gli antibiotici sono indispensabili per far funzionare qualsiasi allevamento intensivo.

Come riportato già anche dal Corriere della Sera, secondo l’Autorità alimentare europea, Efsa (European Food Security Authority), l’ingestione continuata di questi medicinali può provocare alla lunga disturbi intestinali cronici e l’inefficacia degli antibiotici ad agenti patogeni come la Salmonella, trasmessa specialmente attraverso uova e carne, lo Staphylococcus aureus, Campylobacter coli e jejuni e l’Escherichia coli causa di colite emorragica e insufficienza renale.

E quello dei batteri purtroppo non è neanche l’unico problema da affrontare. La situazione non migliora se pensiamo ai pesticidi usati per la coltivazione del mangime dell’animale. Negli USA, ad esempio, l’80% dei pesticidi e fertilizzanti viene utilizzato per la coltivazione dei vegetali destinati agli allevamenti. La quantità di vegetali consumati da animali di grossa mole come maiali e mucche è decisamente maggiore della quantità consumata dall’uomo. Quindi, se un uomo mangiasse direttamente gli stessi vegetali ne mangerebbe certamente di meno, limitando anche l’assunzione degli stessi pesticidi. In poche parole ormai ingeriamo più pesticidi tramite la carne che non tramite le verdure stesse.

I rischi non terminano qua. Insieme al consumo della carne sorge anche un altro problema, quello degli ormoni. “Fortunatamente le regole della comunità europea proibiscono l’uso di alcuni ormoni nel trattamento degli animali da macello e vietano anche l’importazione di alcune carni dagli USA, dove non c’è alcuna restrizione di questo genere – continua Ronsisvalle -. È vero però che vengono ancora utilizzati alcuni estrogeni per far crescere più velocemente gli animali, come per esempio i polli, e dalla loro carne passano anche a noi creando scompensi ormonali soprattutto nella fase della crescita e dello sviluppo”. 

Recentemente è stato accertato che il 15% della carne è trattata con ormoni e sostanze vietate, che servono a rendere la carne più tenera e a gonfiarla. La difficoltà da parte delle autorità nel tenere sotto controllo questa situazione nasce dal fatto che gli esami chimici che si eseguono per analizzare le carni e capire se è stato fatto uso di ormoni vietati sono molto costosi e soprattutto sono efficaci solo in un breve intervallo dalla somministrazione del farmaco. Dopo soli due giorni nelle urine, su cui vengono effettuate le opportune analisi, non c’è più traccia.

Ma i problemi non si fermano solo alle modalità di allevamento, continuano anche post mortem dell’animale e riguardano il confezionamento della carne. È ormai noto che le carni “lavorate” siano uno dei principali fattori che possono contribuire all’insorgenza di tumori, specialmente quello allo stomaco, rischio che aumenta in base alla carne consumata.

Insaccati, salsicce, wurstel, tutti i prodotti trattati attraverso processi di salatura, polimerizzazione, fermentazione e affumicatura, o sottoposte ad altri processi per la conservazione, spiega l’Oms (Organizzazione mondiale della Sanità), sono potenzialmente cancerogeni. Più pericolose anche delle carni rosse non lavorate, inserite fra le ‘probabilmente cancerogene’.

“Purtroppo non è più tutto genuino come una volta – conclude Ronsisvalle -. Secondo le direttive dell’Oms un consumo eccessivo di carne rossa può favorire l’insorgenza di tumori, ma si parla di mezzo chilo a settimana, quantità già smodata. Il mio consiglio è quello di mangiare carne ma in quantità limitate, senza esagerare”.