Cultura

“Ti amo, erano solo due schiaffi”, la violenza di genere “silenziosa” e quella fisica: intervista a Lella Seminerio

Il 17 dicembre 1999 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha istituito per il 25 novembre la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne che dà il via ai 16 giorni di attivismo culminando poi nella Giornata dei diritti umani fissata per il 10 dicembre.

Ogni anno, quindi, uno slogan diverso ma del medesimo contenuto. Quello prescelto per il 2020 è il seguente: “Orange the World: Fund, Respond, Prevent, Collect!” per lanciare una richiesta di intervento globale, analizzando i dati e migliorando i servizi salvavita per donne e ragazze in seria difficoltà.

Partiamo da un concetto preliminare: cosa è incluso nell’espressione “violenza contro le donne“? A rispondere all’interrogativo è la “Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne“, approvata dalle Nazioni Unite, che all’articolo 1 recita: “L’espressione significa ogni atto di violenza fondata sul genere che abbia come risultato, o che possa probabilmente avere come risultato, un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o privata“. Si parla, quindi, di stalking, persecuzioni, violenze fisiche, sessuali, ma anche violenza praticata tramite sguardi e frasi che feriscono in modo diverso ma ugualmente significativo.

Il punto di vista della scrittrice catanese Lella Seminerio

In occasione di questa giornata tanto importante, ai microfoni di NewSicilia è intervenuta Lella Seminerio, insegnante, giornalista e scrittrice catanese che nei suoi romanzi si è avvicinata al tema della violenza sulle donne ascoltando ciò che, in prima persona, proprio le donne siciliane avevano da raccontare.

Sono una donna che cerca di conciliare l’essere moglie, madre, insegnante, giornalista e scrittrice. La mia prima pubblicazione del romanzo ‘La casa del mandorlo‘ risale al 2013, seguita nel febbraio dello scorso anno dal mio secondo libro ‘Rosso Ulivo‘. I miei romanzi raccontano storie di donne ambientate nella nostra bellissima Sicilia“, inizia così la nostra chiacchierata.

“Proprio il giornalismo mi ha portato qualche anno fa a fare un’inchiesta e, attraverso quest’ultima, ho avuto la possibilità di intervistare molte anziane signore del nostro entroterra. Dai loro racconti sono venute fuori, attraverso una serie di aneddoti, delle vere e proprie rivelazioni sul modo di vivere di un tempo che è, com’è facile immaginare, profondamente diverso da quello di oggi. Questo mi ha intimamente colpita ed ho deciso, quindi, di continuare ad indagare per approfondire la mia ricerca. Proprio da qui nascono tutte le storie che racconto nei miei romanzi“, prosegue.

Fonte Foto: Brunella Bonaccorsi

“Sono storie di donne vere, autentiche, costrette ad obbedire”

Man mano che i racconti e le esperienze, sia riportate che vissute in prima persona, prendevano vita, si è delineato ai miei occhi un quadro complesso della condizione della donna, che mi ha dato una percezione, immagino, molto vicina alla realtà di un tempo. Sono storie di donne vere, autentiche, costrette ad obbedire per non soccombere a padri, mariti, fratelli“, aggiunge la nostra intervistata.

E ancora: “Attraverso tali storie, queste donne, mi hanno parlato, mi hanno mostrato il loro dolore e la loro disperazione. Mi hanno reso partecipe della loro anima ferita da una quotidianità fatta di soprusi, lacrime e silenzi che offendono la dignità umana. I racconti e le visioni di queste vite tormentate mi hanno così profondamente colpita che non sono riuscita a non indignarmi per tanta sofferenza. Così da quel giorno ho deciso di votare la mia penna al servizio di questa denuncia, perché il velo si squarci e venga accesa una luce su tutto ciò che ci ha preceduto. Perché, a mio avviso, solo riappropriandoci delle nostre radici sapremo meglio delineare il nostro cammino: se non sappiamo da dove veniamo, non sapremo neanche dove stiamo andando“.

Emergenza Coronavirus e violenza tra le mura domestiche

L’Organizzazione Mondiale della Sanità, tra l’altro, ha comunicato che il 35% delle donne ha subito violenza nel corso della vita. L’emergenza Coronavirus ha solo peggiorato la situazione: stando costretti a rimanere per tanto tempo a casa, per prevenire la diffusione dei contagi a macchia d’olio, la violenza consumata tra le mura domestiche ha raggiunto numeri esorbitanti (94,5%), con chiamate frequenti al numero antiviolenza e richieste d’aiuto.

Essenziale, all’interno di quella che è una vera e propria emergenza umanitaria, acuita anche durante la pandemia, è una corretta informazione sul tema della violenza sulle donne con annessa prevenzione, senza aver timore di denunciare eventuali comportamenti preoccupanti. Molte, infatti, per paura di ripercussioni preferiscono stare in silenzio e subire piuttosto che reagire e “inchiodare” il proprio “carnefice”.

Posso immaginare la paura e quanto questa, a volte, imprigioni le donne stesse come vittime, facendole di frequente illudere di un possibile cambiamento nel comportamento di chi le maltratta. Purtroppo, non capita di rado che anche chi denuncia non riesca a sottrarsi alla furia omicida degli aguzzini. Ed è forse per questo che, non sentendosi tutelate dallo Stato, le donne spesso temono di rivelare i nomi dei loro persecutori“, spiega la scrittrice catanese con estrema delicatezza che la contraddistingue.

Inoltre: “Bisogna invece avere fiducia nelle istituzioni, nella magistratura e nel lavoro prezioso che svolgono ogni giorni i centri anti violenza. Nella viva speranza che si possano sempre più migliorare gli strumenti a disposizione della società al fine di sostenere in modo sempre più efficace le donne. Certo, con l’invasione della pandemia che costringe a condividere gli spazi di un appartamento, con chi ha un comportamento aggressivo, sicuramente risulta più complicato oltre che pericoloso. Gestire la situazione in questo momento storico risulta ancora più difficile e quindi proprio la denuncia e il conseguente allontanamento coatto del convivente, risulta essere, a mio modesto avviso, una delle possibili soluzioni“.

“Se l’è cercata per come si veste”: mentalità che va cambiata

Molti uomini si nascondono sotto frasi del tipo “Ti amo, erano solo due schiaffi“, ma quel che resta è una ferita profonda oltre i lividi, oltre il “ti amo“. Il vero amore, invece, è quello che cura, rincuora e non fa male, non lascia segni sulla pelle e nell’anima, sulla scia che “le donne non si toccano nemmeno con un fiore“.

Spesso, tra l’altro, si sente dire “Se l’è cercata per come si veste” ma può un abbigliamento essere motivo di violenza? Assolutamente no. Anzi, è segno di una mentalità che va cambiata, a tutti i costi. A tal proposito, Lella Seminerio specifica, con molta determinazione: “Sono rigurgiti di una cultura patriarcale, di un modo di pensare arcaico che cerca spudoratamente, nella presunta provocazione di una donna, una scusa che attenui le colpe degli uomini. Nessuno può permettersi di criticare il modo di essere o di vestire di una donna. Ogni donna che indossa un capo di abbigliamento non dovrebbe mai pensare agli sguardi avidi e lascivi che può suscitare. Lo considero una grave limitazione alla libertà femminile, tanto faticosamente conquistata. Siamo donne pienamente libere e viviamo, per fortuna, in un Paese che ci consente di godere di questa libertà a pieno titolo e nei modi in cui desideriamo farlo“.

Una ferita profonda oltre i lividi

Accanto alla violenza prettamente fisica, che è quella più facile da vedere, c’è quella psicologica, che fa ancora più male perché colpisce ancora più a fondo e investe la mente e la psiche, restando dentro. Per sempre. La nostra intervistata ha avuto modo di percepire con mano questa differenza, ascoltando direttamente storie di donne purtroppo protagoniste: “La violenza ‘silenziosa’, come la definisco io, è sicuramente la più difficile da scoprire e da combattere. Perché è sotterranea, si nasconde. Non lascia segni evidenti, né lividi, né ematomi, ma è certamente quella più subdola e che in passato veniva continuamente praticata con l’intento di sottomettere le donne, costringendole ad obbedire alle imposizioni maschili“.

Le donne di oggi sono consapevoli del proprio ruolo nella società e dei propri diritti e sventolano la loro indipendenza con sommo orgoglio. Gli uomini di oggi, per lo più accettano e condividono questo nuovo modo di essere della donna. Ma capita ancora troppo spesso che questa libertà e questa indipendenza venga pagata ad un prezzo troppo alto. E non c’è status sociale o livello culturale che tenga: il femminicidio è, purtroppo, un fenomeno trasversale. Ritengo che entrambe le forme di violenza siano complementari, poiché rappresentano le facce della stessa medaglia: sottomissione (fisica e/o psicologica) della donna“, aggiunge.

“Sconfiggere” la violenza di genere con la cultura

Come “sconfiggere” la violenza di genere che, purtroppo, al giorno d’oggi è una realtà quotidiana? I libri possono aiutare in questo arduo compito? Lella Seminerio ha così risposto ai nostri interrogativi: “Assolutamente si! Non solo i libri, ma tutta la cultura. L’avvicinarsi al bello ingentilisce l’anima, apre la mente, fa comprendere ciò che risulta imperscrutabile. Ritengo, a questo proposito, fondamentale il supporto dell’istituzione scolastica in toto, sin dai primi ordini di scuola. Da docente con diversi decenni di esperienza, posso affermare senza timore di smentita, che tutto si può insegnare a tutti, l’importante è esclusivamente il modo. E poi confrontarsi, discutere, dibattere. Ascoltando punti di vista differenti dal proprio. Crescere nella consapevolezza che per donne e uomini è davvero giunto il momento di camminare mano nella mano, attraverso un percorso che porti alla definitiva eradicazione di un fenomeno così increscioso che risulta persino difficile annoverare tra quelli che appartengono al genere umano“.

Il futuro prossimo della scrittrice catanese si prospetta ricco, muovendosi anche in tal senso: “I miei progetti sono tanti. Qualcuno accantonato per via della pandemia, qualcun altro, invece, in fase di realizzazione. Sono infatti alle prese con le ricerche storiche per la stesura di un nuovo romanzo. La storia che voglio raccontare mi è stata riferita anni fa, ed è rimasta dentro di me per tutto questo tempo. Adesso credo sia giunto il momento di farla venire fuori. È una storia che mi è stata riportata in maniera essenziale e diretta, e sto cercando, attraverso i miei studi, di creare il contesto più idoneo per esaltarla. È un lavoro lungo e accurato, direi quasi certosino, che comporta studio e applicazione, ma che faccio volentieri perché è proprio nello studio, nella ricerca e nella stesura dei miei romanzi, che provo davvero tanta gioia“.

Una giornata, dunque, quella del 25 novembre, per riflettere e per provare a cambiare. In tutti i modi possibili. Oggi e sempre.

Dalila Di Costa

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Dalila Di Costa
Tag: Catania Donne Emergenza Coronavirus Evidenza Giornata Intervista Lella Seminerio Ricorrenza Storie Violenza

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