“Sicilianamente”, come l’aedo dell’Etna Alfio Patti canta la sua isola

“Sicilianamente”, come l’aedo dell’Etna Alfio Patti canta la sua isola

Probabilmente la ricchezza più grande di Alfio Patti sta nella maniera in cui ti congeda. “Sicilianamente”, ripete e scrive prima dell’arrivederci e di un cordiale sorriso. Perché lui, che ama definirsi “aedo dell’Etna” e rifugge ogni classificazione che lo accosti a un cantastorie, trasuda davvero sicilianità autentica: nel garbo da uomo d’altri tempi, nella disponibilità tipica degli isolani, nell’entusiasmo con cui ti descrive la sua arte che è quella di raccontare storie. Solo che lui non è un cantastorie, ama piuttosto definirsi un aedo.

L’aedo è per Alfiocolui che canta la poesia, un poeta con uno strumento musicale”.

Ad ascoltarlo, mi pare un siciliano che la Sicilia non la canta soltanto. Non la celebra, punto e basta. Lui la crea, la studia, la scrive, la recita a teatro, la plasma, ne fa oggetto di conferenze e spettacoli che porta in giro in Sicilia, in Italia e all’estero, ne modella vizi e virtù.

Bastano un bicchiere di vino, pochi spettatori, un palco e comincia la magia dei racconti dei tempi che furono. “Qualcuno a volte mi ha apostrofato: e iù cchi mangiu poesia?” – racconta l’aedo. “Non di solo pane ha bisogno l’uomo. La poesia viene usata spesso “ppi firiti ca non sànanu”, collega l’uomo alla luna e al sole; all’acqua e alla terra, alla vita e alla morte”. Ecco come vive un uomo che ama spasmodicamente la Sicilia, “nazione complessa, dicotomica e contraddittoria” ed ecco il messaggio che lancia alle nuove generazioni.

A che età e perché ha cominciato la sua attività di aedo?
Tardi. Da bambino, però, mi fermavo a sentire alla Fera ô Luni di San Gregorio il cantastorie Orazio Strano. Poi l’incontro con la musica e l’inserimento nel corpo bandistico sangregorese, dove suonavo il corno.

Chi l’ha ispirata?
Mio padre. Frequentavo i saloni da barba dove suonava: fu lui a trasmettermi l’amore per la chitarra con la quale oggi mi accompagno. All’inizio mi esibivo in salotti letterari o in cenacoli artistici. Mi dedicavo di più alla scrittura. Poi capii che la poesia doveva andare verso il pubblico ed uscire dal recinto da dove era stata rinchiusa. Decisi di fare l’aedo.

Qual è la differenza tra lei e cantastorie come Luigi Di Pino?
L’amico e bravo collega Di Pino esordisce come cantastorie sulla scia di Orazio Strano di cui canta e conosce tutte le opere imitandone stile e sfumature. Ne è follemente innamorato. Poi cerca di trovare una propria identità perché capisce che il mondo è cambiato e che il cantastorie col cartellone è di nicchia. Compone un gruppo di validi musicisti dove lui rimane il leader e l’artista assoluto, ma nel tentativo di diversificare ha snaturato la figura del cantastorie che rimane sempre un solitario.

Lei, invece, canta “in solitaria”?
Io sono rimasto solo per scelta, nonostante gli inviti a comporre un gruppo. L’aedo è solo. Io porto in giro il mio pubblico per mano in una Sicilia vista dai miei occhi, ma con lo spirito di coloro che hanno scritto testi e canzoni molto belli rimanendo nell’anonimato e nell’oblio. Il mio compito è anche pedagogico visto che a sconoscere la Sicilia sono per primi i siciliani.

Che rapporto ha con la sua Isola?
L’Etna, “’a muntagna” dà carica, stimoli ed ispirazioni uniche. C’è un atavico rapporto di amore e odio in quanto l’Etna è vita e morte allo stesso tempo: ex morte vita.

Sarebbe uguale per lei cantare di città metropolitane come Milano?
A me le città metropolitane ispirano storie su problemi sociali, su battaglie civili ed esistenziali, ma è risaputo che il poeta è felice quando è in armonia con la natura.

Qual è il ricordo più bello legato alla sua attività?
Il Seminario e gli spettacoli tenuti a Città del Messico, all’Università nazionale messicana (Unam), alla Dante Alighieri e all’Istituto italiano di Cultura nel 2012 quando tenni un corso di dieci giorni sulla poesia e cultura siciliane organizzato e finanziato dal Dipartimento di Italianistica diretto da Mariapia Lamberti Gonzalez dal titolo “Allakatalla, cuando la palabra se hace poesía y la poesía canto”; il primo nella storia della poesia siciliana nel suo genere. Gli studenti furono ventitré. Il seminario ebbe un grande successo tanto da avere più dei 23 studenti iscritti al corso.

Accanto a temi naturalistici, immagino si occupi anche di temi sociali. Come affronta un aedo il delicato tema della mafia?
Con delicatezza, ironia, sarcasmo, cultura per dare l’affondo finale nel cuore dei siciliani onesti. Oggi la gente è più istruita di un tempo, quando i cantastorie portavano in giro le storie contro la mafia rimanendo unici sostenitori degli eroi antimafia lasciati spesso soli dallo Stato. Oggi occorre parlare in modo nuovo alla gente fermo restando la nostra cultura. Spesso riconosco che ci do dentro con forza facendo nomi e mettendo a rischio la mia persona. Ma il tema mafia non interessa più nessuno, nemmeno i cosiddetti illuminati di sinistra.

Come può una professionalità come quella dell’aedo inserirsi in un contesto popolato dal web e dalla necessità spasmodica di condividere in rete ogni singolo istante della propria vita?
Quello del web è un mondo virtuale e spesso falso. Tutti ci stanno dentro, manca il contatto diretto ed umano. L’aedo rimane l’uomo/poeta fuori gioco. Egli usa la parola musicale e non quella àtona della tastiera che spesso lascia fraintendimenti. Quindi quando l’aedo si esibisce riporta la gente alla realtà e alle cose essenziali dell’esistenza.

C’è un luogo della Sicilia che trova particolarmente “ispirante” per la creazione di nuovi versi?
Aci Trezza e San Gregorio, mio paese natale, e tanti posti nei quali sono stato che mi hanno ispirato ma il maggior numero delle mie composizioni poetiche le ho fatte sutta ’a muntagna.

Qual è il suo pubblico principale e che tipo di scena le piace ricreare nei suoi spettacoli ?
Il mio pubblico è composto da persone semplici e intellettuali. A me manca la classe media perché borghese, credo, e lontana e nemica delle tradizioni siciliane. L’età media dei miei ascoltatori va dai 40 agli 80 anni con prevalenza di pubblico femminile che mi sostiene con grande passione, forse perché le donne restano profondamente romantiche.

Quale messaggio in versi lascerebbe alle nuove generazioni?
La parola resta l’unica forma rivoluzionaria. Spero che i giovani facciano sentire la loro. Lascio due versi miei:
Quannu s’ammazza a parola
s’ammazza u pinseri
e l’omu s’arridduci
ferra di sciara
e mazzuni di scogghiu.

(Quando si uccide la parola / si uccide il pensiero / e l’uomo si riduce / fèrula di sciara / e ghiozzo di scoglio.) Da. Jennuvinennu (2009)