CATANIA – Martedì 1 Marzo, alle ore 19:30, nella libreria Touring di via Pola, è stato brillantemente presentato da Antonio Mistretta, docente dell’Università di Catania, il libro di Domenico Trischitta “L’oro di San Berillo”, dramma in due atti accompagnato dalle splendide foto di Giuseppe Leone, Algra Editore.
San Berillo, nell’opera di Trischitta, è una metafora, è un dramma che l’autore si porta dentro sin da bambino. San Berillo è la sua storia. L’autore cresce per strada, in un quartiere periferico che nè lui nè la sua famiglia scelgono, ma che alla fine amano e da cui traggono una grande passione. Era un grande calderone dove vivevano circa 30.000 persone tra criminali, prostitute nelle case chiuse che operavano legalmente (il periodo storico è precedente all’entrata in vigore della legge Merlin), professionisti, artigiani, pupari, gente perbene; visse lì anche Vitaliano Brancati… era un quartiere dal cuore pulsante e dalla passione sfrenata. Un quartiere che amava e feriva, era un serbatoio di voti per la classe politica del momento… San Berillo lasciava segni indelebili nella vita di chi era partorito da quelle strade. Era però anche un’isola felice, era la scoperta dell’autentico, di una natura selvaggia. La vita in quel quartiere era socializzazione e condivisione continua.
L’opera di Trischitta è anche memoria, tutto nasce infatti con un sogno, il sogno del padre che, trovandosi in uno dei lidi più famosi di Catania, certamente il più antico e caratteristico, il lido La Scogliera Darmisi, sito proprio sotto la Stazione Centrale, si addormenta e sogna il suo quartiere tanto amato. Sogna quelle strade, quel dialetto, quelle persone che mai smetteranno di abitare la sua anima… e da questo sogno prende vita il dramma dell’autore che trasforma i ricordi del padre nella sua singolare opera teatrale.
“Nell’arco di sessant’anni si consuma la tragedia esistenziale di una comunità di catanesi che ha scelto come filosofia di vita l’arte di arrangiarsi. Prima i bombardamenti dell’ultimo conflitto mondiale, poi lo sventramento urbano alla fine degli anni Cinquanta, hanno fatto di questo disordinato agglomerato di case, situato nel cuore del centro storico della città, un’anima purgatoriale alla ricerca della propria identità. Da un lato la zona a luci rosse, dall’altro un viavai di commercianti che dalla stazione e dal porto venivano a piantare radici, come per una sorta di disincanto, hanno plasmato un’anima catanese (comica e grottesca, ironica e drammatica), che nutritasi di sesso mercenario e carne di cavallo hanno reso indelebile un’impronta originale e riconoscibile. Prima la deportazione forzata degli abitanti nel nuovo San Berillo, poi la criminalità organizzata degli anni Settanta, hanno distrutto e trasformato tutto. C’è ancora qualcuno che può veramente dichiararsi catanese? Noi ci affidiamo alla memoria dei superstiti, dei testimoni, alle pagine di Brancati e Addamo, alle perfomances di Angelo Musco, ai primi piani di Daniela Rocca, ai contrabbandieri di sigarette, agli storici e pescatori di questa città, ed anche a qualche prostituta sessantenne con l’accento napoletano”, dichiara l’autore.
“A Fava venne un’idea geniale. Perchè non scrivere un lamento di un cittadino, sgomento di fronte a quello spettacolo, testimonianza di una giovinezza sfiorita, di amori conquistati a poche lire? E così, parafrasando Garçia Lorca, scrivemmo <<Lamento in morte di una casa chiusa>>.
La rappresentazione ebbe successo anche se le autorità in sala non gradirono molto l’allusione. Ci riprova ora Domenico Trischitta, riaprendo con coraggio una dolente ferita della memoria. Intanto il nuovo San Berillo non è ancora nato. C’è un mega progetto che, purtroppo, non è stato realizzato. Mi auguro che, rispettando le caratteristiche delle vecchie case ancora esistenti, Catania abbia finalmente il suo grande balcone sul mare”, scrive in merito Pippo Baudo.