Quel 17 giugno 1945 e l’agguato al Comandante dell’EVIS, fu un eccidio di Stato? Il caso non è stato mai chiarito

Quel 17 giugno 1945 e l’agguato al Comandante dell’EVIS, fu un eccidio di Stato? Il caso non è stato mai chiarito

RANDAZZO – Oggi ricorre il settantatreesimo anniversario dell’eccidio dei militanti dell’Evis, Esercito Volontario Indipendentisti Siciliani, nel territorio di Randazzo, a “Murazzu ruttu”.

La domenica mattina del 17 giugno 1945, sulla strada che da Cesarò porta a Randazzo, un rattoppato motocarro motocarro “Guzzi 500 Ercole”, guidato da Giuseppe Amato e con a bordo, a cassone, Antonio Canepa, Carmelo Rosano, Armando Romano, Nino Velis e Giuseppe Lo Giudice, incappò in un posto di blocco organizzato dai carabinieri di Randazzo. L’alt dei carabinieri scatenò un conflitto a fuoco dalle dinamiche poco chiare dove è certo che tre militanti dell’Evis persero la vita e un altro tirato fuori dalla bara dal custode del cimitero dove lo avevano messo gli stessi operatori delle forze dell’Ordine perché ancora vivo.

Sui fatti di cronaca è doveroso proporre una pagina del libro “Sicilia contro Italia” di Salvatore Nicolosi perché molto interessante: “…verso le ore 16, quando il sole era ancora alto, il maggiore Denti arrivò a Randazzo, ‘in ispezione alla caserma’. Il comandante di stazione era un sottufficiale non più giovane, il maresciallo maggiore Salvatore Rizzotto, 54 anni. Degli ordini impartitigli dal maggiore egli diede notizia il 18 giugno, due giorni dopo quell’incontro e il giorno dopo aver compiuto, con risultati micidiali, la sua impresa. Il capitano Arturo Talò lo interrogava sull’accaduto ed egli così testualmente riferì a verbale: ‘Il pomeriggio del giorno 16 giugno il signor maggiore comandante il gruppo di Catania, in ispezione alla caserma di Randazzo, nel comunicarmi che notizie fiduciarie, da lui raccolte, facevano ritenere probabile l’incetta di armi e munizioni da guerra da parte di elementi non identificati, da Bronte mi ordinava di eseguire il giorno successivo 17, dalle ore 5 in poi, un servizio di blocco in località Murazzo Rotto, prossimo all’abitato di Randazzo, sullo stradale per Bronte’. Nel racconto del sottufficiale emerge un elemento singolare: ‘Mi precisava, il prefato signor maggiore, che a bordo di una macchina, camioncino 1100, avrebbero dovuto transitare un sottufficiale dell’Arma ed un carabiniere conducente, entrambi in abito civile, insieme a persona confidente, la quale aveva consentito al sottufficiale di rilevare un certo quantitativo di armi nascoste alla macchia. Il signor maggiore mi portava materialmente sul posto ove la sorpresa si sarebbe dovuto verificare e colà mi impartiva tutte le disposizioni di dettaglio per la buona riuscita del servizio, secondo le quali, per non compromettere il confidente, dovevamo dar tempo agli stessi di fuggire, limitandoci al sequestro dell’automezzo e delle armi in esso contenute. Mi raccomandava inoltre di non fare assolutamente uso delle armi, per evitare possibili conseguenze”.

Salvatore Nicolosi formulò una serie di interrogativi e avanzò dubbi sull’andamento ufficiale dello scontro armato: “I dubbi non riguardano soltanto le modalità del conflitto; altri ce ne sono, anch’essi senza risposta, sull’ordine di servizio impartito dal maggiore Denti, che costituì la premessa dello scontro a fuoco. Neanche una piccola luce è stata fatta su di esso. Dagli interrogatori del maresciallo Rizzotto si apprese che il maggiore aveva ordinato un posto di blocco da effettuare in un luogo preciso e in un’ora precisa: davvero in quell’ora e in quel luogo, difatti qualcosa accadde. Ma Denti aveva parlato di un camioncino 1100 carico di armi, due carabinieri in borghese e un confidente, di un accordo per cui i carabinieri e il confidente si sarebbero dileguati appena fosse stato intimato l’alt; e nessuna di queste previsioni fu confermata dai fatti. Tutto falso. I sospetti di tradimento che seguirono alla morte di Canepa e dei suoi compagni furono pesanti e molteplici, tanto che si parlò di una spia fra gli stessi separatisti; si parlò di un delitto di Stato perché le azioni di Canepa mettevano in crisi lo Stato italiano e quindi anche il governo dell’Isola, a quel tempo affidato all’alto commissario Aldisio, fervente unitarista e acerrimo persecutore dei movimenti separatisti. Si parlò ancora di spinte del Governo italiano su quello inglese perché questi ultimi chiarissero le loro posizioni, ritenute ambigue (in pratica l’Italia era nel dubbio che l’Inghilterra appoggiasse il movimento separatista) e di conseguenza si schierassero con i governo italiano e concludessero un accordo tra i propri servizi segreti, il SIM (Servizio informazioni militari) e il SIS (Special Intelligence Service) per la cattura di Canepa, visto che lo stesso era stato punto di riferimento per le armate inglesi nell’Isola, durante la preparazione logistica e operativa nella fase ‘pre sbarco’ in Sicilia”.

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Per presentare un quadro più chiaro dei fatti di cronaca, delle circostanze, e del contesto storico-evolutivo del periodo post bellico di una Sicilia in piena voglia di riscatto, si propone il seguente video servizio.