CATANIA – Il capoluogo etneo si prepara ad ospitare la quarta edizione del Festival delle Parrocchie, prevista per venerdì 14 novembre al Teatro Metropolitan di Catania. Per l’occasione si è reso disponibile monsignore Barbaro Scionti, parroco della Cattedrale, in un’intensa riflessione sul Giubileo della Speranza che la Chiesa sta universalmente vivendo.
Festival delle Parrocchie, un inno alla fede e alla testimonianza
Discusso anche il prossimo Giubileo Agatino, previsto per l’anno prossimo e indetto dall’arcivescovo di Catania monsignore Luigi Renna. Un dialogo testimone di fede e speranza, valori su cui basa l’intero culto di Sant’Agata e a cui la comunità cristiana attinge quotidianamente.
Comunità, tuttavia, posta costantemente di fronte a scenari dove spesso la fede vacilla. Criticità a cui monsignore Scionti fa fronte con il ricordo di Agata e dei suoi insegnamenti.
Come possiamo vivere il tempo del Giubileo, non soltanto come evento liturgico, ma come esperienza comunitaria e pastorale, anche in relazione al Festival delle Parrocchie e al coinvolgimento dei giovani?
Credo che ci sia un profondo collegamento che l’arcivescovo ha voluto mettere in luce nell’incipit della sua lettera pastorale, tra il Giubileo della Speranza — così come Papa Francesco lo ha presentato — e il Giubileo Agatino che si aprirà subito dopo.
A dicembre si concluderà in diocesi il Giubileo ordinario; il 6 gennaio si chiuderà a livello di Chiesa universale, e l’11 gennaio, festa del Battesimo del Signore, giorno che tradizionalmente segna l’inizio del cammino del velo di Sant’Agata, inizierà il Giubileo Agatino.
Il titolo scelto dall’arcivescovo — “Sui passi di Sant’Agata per rendere ragione della nostra speranza” — esprime bene il passaggio che siamo chiamati a vivere: dopo aver riscoperto la gioia di una speranza che ci accompagna e ci conquista, ora siamo chiamati a renderla concreta, a testimoniarla.
Il Festival delle Parrocchie diventa, in questo senso, la prima occasione comunitaria per dire che ogni parrocchia riceve la responsabilità morale — come ricorda la lettera pastorale — di custodire la memoria di Sant’Agata. Non solo come fa il parroco della Cattedrale, che ne custodisce le reliquie, ma come comunità che si riconosce in lei: testimone di fede, di amore e di speranza.
Il Giubileo è anche tempo di rinascita e di gioia. Cosa si augura per la Chiesa e per la città di Catania, in un momento storico in cui parole come speranza e rinascita sembrano così necessarie, soprattutto per i giovani?
Se la lettera pastorale ci affida la custodia di Sant’Agata, significa che questo Giubileo è anche un invito a riscoprire il posto che Sant’Agata ha nella vita di ogni comunità: da Maniace a Zafferana, in ogni parrocchia, in ogni quartiere.
Forse oggi la devozione non è più viva come un tempo, ma se nei paesi ci sono ancora statue, tele o immagini di Sant’Agata, significa che qualcosa di profondo è rimasto. Ecco perché è importante riportare Sant’Agata al centro, non per creare nuove feste, ma perché la sua testimonianza parla ancora oggi — di fronte alla violenza, alla dignità della donna, al valore della libertà e del servizio.
Sant’Agata può insegnare molto: ai bambini e ai ragazzi, il coraggio della libertà nel formarsi; ai giovani, l’intraprendenza seria di chi ama e costruisce il bene; agli adulti, la donazione di sé e la fedeltà al Vangelo; agli anziani, il conforto nella sofferenza e la speranza nella prova. E poi c’è un segno forte: Sant’Agata è stata martirizzata nel seno, e oggi il cancro al seno è una piaga che tocca moltissime famiglie. Anche lì Agata diventa icona di solidarietà e di forza, esempio per chi soffre e richiamo per tutti a essere più attenti e solidali.
Le è mai capitato, umanamente, di scoraggiarsi di fronte a certi fatti di cronaca o atteggiamenti della comunità?
Di scoraggiamento no, ma di amarezza sì, e profonda. Mi addolora vedere che la Città di Sant’Agata, che tanto la ama e la onora con sincero fervore, spesso non si nutre della bellezza di Agata buona, un’espressione che amo molto.
Agata buona può aiutarci a migliorare i nostri rapporti, la nostra città e noi stessi. È un faro di speranza e di conversione, che ci rimanda al Crocifisso risorto. Il mio dispiacere più grande è vedere che, a volte, siamo più devoti della corda e delle stanghe che non della bellezza spirituale di Agata, della sua fede e della sua testimonianza viva.




