“La vedova” di José Saramago

“La vedova” di José Saramago

Il Premio Nobel per la letteratura José Saramago nacque il 16 novembre 1922 ad Azinhaga, un villaggio del Ribatejo, in Portogallo. Di umili origini, due anni dopo la sua nascita la famiglia si trasferì a Lisbona dove il padre tentò in tutti i modi di superare le gravi difficoltà economiche. Cresciuto in una casa senza libri, ebbe modo di porre rimedio a questa mancanza frequentando la biblioteca comunale. L’amore per la scrittura, la letteratura e lo studio profondo del comportamento del genere umano, lo accompagnarono fino al giorno della sua morte il 18 giugno 2010 nella sua residenza a Lanzarote, a Tías.

L’anno che volge al termine è stato tutto un susseguirsi di celebrazioni in occasione del centenario della sua nascita, quale migliore occasione per ripercorrere le tappe fondamentali della vita privata e professionale di un intellettuale, custode della Verità comprensibile da chi, come lui, si presenta come un risoluto visionario oltre la fede?

“E se il cuore non ha capito, non arriva ad esser menzogna il detto della bocca, ma piuttosto assenza”.

Nel 1947 all’età di venticinque anni, José Saramago pubblicò il suo primo romanzo “Terra del peccato”. Sul titolo non trovò collaborazione con l’editore Manuel Rodrigues ma acconsentì da giovane scrittore al suo primo passo sul palcoscenico letterario. Nel 2022 la casa editrice Feltrinelli pubblica la prima edizione italiana de “La vedova”, il titolo originale costretto a rimanere chiuso nel cassetto dei desideri dell’autore.

Ambientato a Ribatejo, città natale di Saramago, il primo romanzo del futuro Premio Nobel anticipa di molti anni l’analisi dei sentimenti che nel tempo l’intellettuale-eretico portoghese avrebbe sottoposto a una lente d’ingrandimento di un laboratorio letterario.

Da moglie a vedova, il destino della giovane Maria Leonor sembra segnato dall’improvvisa morte del marito. Rimasta da sola nel mondo che l’aveva compresa, si ritrova unica responsabile di una grande Tenuta in Alentejo da amministrare con le sue sole forze, reali o costrette a farsi spazio nell’anima adottata dalla disperazione. Maria Leonor vive precipitata in una sorte di sopravvivenza da cui evadere, ogni minuto scuote a gran voce l’appello di un bisogno fisico, quindi necessario. È una bellissima donna costretta a difendersi dal giudizio di una società sempre pronta a puntare il dito sul passo azzardato di una vedova.

Da ogni angolo della camera spuntavano allora delle forme confuse, che si muovevano e avanzavano verso il letto, rotolando su se stesse e mostrandole sempre lo stesso aspetto, strisce nere su un fondo giallo. Il tutto si trasformava ben presto in croci che riempivano la camera da cima a fondo e ricadevano, silenziosamente, come fantasmi“.

Procedere con la purificazione della voce pettegola è pari a un verso satanico da quietare. Maria, una donna, tante donne, ciascuna animata da un comportamento cangiante davanti al coro di figure ambigue: prima tra tutti Benedita, la serva zitella ossessionata dalla sua padrona, testimone di una “scena maledetta” che l’ha sconvolta per sempre. Resterà fedele al suo servizio o accecata dalla gelosia vomiterà il disgusto a tutto il paese?

Saramago solleva dal dolore la sua creatura Maria confortandola con due presenze di pace, Júlia e Dionísio, i figli della giovane vedova stordita dal giogo delle illusioni strette come catene affamate.

Con Maria Leonor nasce una nuova eroina del romanzo pubblicato un secolo dopo i suoi fratelli ottocenteschi. Lady Chatterley, Madame Bovary, Catherine Earnshaw, sono solo alcune protagoniste femminili interrogate in tutte le loro specificità. Con una minuziosa descrizione del sentimento femminile, per la prima volta nel 1947, Saramago salì sull’imbarcazione della narrativa senza temere pericolosi venti contrari.

Sono figli di un delicato eppure inquieto sentire i salotti visitati nel suo primo alloggio letterario: il lutto, il dolore, la morte non bastano a coprire l’arsura avvicinata dalla follia per il petalo del desiderio appassito. Nella nuova stagione della vita, Josè Saramago concede alla sua Maria Leonor il contatto voluttuoso della passione con due uomini, mettendo a rischio la sua reputazione.

E nel silenzio della casa assorta, estranea al suo martirio, Maria Leonor levò al soffitto i pugni chiusi col desiderio di morire in quell’angoscia voluttuosa, intorpidita dai profumi della notte, nell’ansia di dissolvere il corpo e lo spirito nel vino caldo e inebriante che le scorreva nelle vene“.

Una coltre di solitudine invaghita dalle lenzuola simulava una primavera su e giù per le curve dell’età in fiamme. Nient’altro che sterili tappe per un paradiso sillabato da una sola brama. Solo un blando ricordo avrebbe tenuto in vita Maria Leonor quando ad ogni alba si preparava a fare una colazione d’amarezza.

Ragione e sentimento” tuonava nell’Inghilterra vittoriana l’opera immortale della scrittrice Jane Austen, ed ecco che un secolo più tardi un neofita del Romanzo battezza la penna sulle tribolazioni della ragione a duello con il profumo del peccato.

Settantacinque anni dopo, ne “La vedova” di José Saramago s’intravede la vena visionaria che lo scrittore avrebbe poi rimarcato con maggiore intensità nelle opere che consacrarono il talento.

Il romanzo ancora digiuno del realismo magico rinviato al futuro dell’intellettuale osservatore dà prova di un potenziale espresso con debolissimi indizi.

Saramago scrive per non essere letto, in questa sua dichiarazione riconosce la filosofia dell’esistenza a porte chiuse. Del venticinquenne che fu non ha mai smesso di fare dell’umanità una scultura letteraria figlia del tempo senza tempo.

sara

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