Non la storia ma l’obiettivo. Non gli eventi lungo un corridoio di vicende collegate a una mano munita di penna tortuosa. Questa volta la storia è coinquilina del pensiero visionario del principe della letteratura italiana.
Un anno fa Alessandro Baricco ha chiuso il Salone Off a Torino con la versione musicale del suo nuovo romanzo “Abel” in collaborazione di tre musicisti per “suonare” sette capitoli del suo nuovo libro.
“Mi andava di portare sul palco il sound del romanzo”, ha spiegato lo scrittore. Mi sono immaginato una band capace di trasformare quelle pagine in un’esperienza sonora. Quello che posso fare, e che farò, è leggerle cercandone sempre prima il suono che il significato”.
“Abel” simula un incrocio machiavellico rispetto alla genuinità del bivio che offre solo due opzioni di scelta. Abel Crow ha ventisette anni, la sua è una figura cristallizzata da Baricco per compiere la scansione del tempo dentro il quale si muove il passato, il presente e il futuro della vita.
Lontano dallo schermo che lo avrebbe accolto con la trasparente verità delle immagini, incontreremo i luoghi della leggenda di Abel nel West, al centro di un viaggio onirico con gli occhi aperti e ben puntati sulla perversione delle lancette.
Dopo la morte del padre, Abel vive con la madre e con i suoi cinque fratelli in un angolo di mondo fino al giorno in cui la donna dal temperamento aspro e selvaggio preferisce alla famiglia il possesso di quattro cavalli. L’unico punto di forza di Abel consiste nella sua abilità con l’arma assassina. Un colpo, due obiettivi centrati con due pistole. Non è ammesso l’errore. L’istante ha coperto di polvere da sparo le certezze ignote al regno visibile dietro cui si nascondono le immagini del vissuto.
Grazie al colpo detto il “Mistico” Abel Crow diventa “leggenda” con la quale, prendendo in prestito una chiave di lettura abilitata alla metafora, atterreremo insieme in un tramonto esistenziale. Sono davvero pochi gli anfratti in cui invano la luce ha trovato riparo. Senza di essa ogni nascita è impensabile, ancora meno il miracolo del ritorno alla vita grazie alla partecipazione di elementi di saggezza.
“Il fatto è che io per tutta la vita ho sparato. Chi prende la mira crede che il mondo sia attraversato da linee rette. Da un prima e un dopo. Da un qui e un là. Neanche lo crede, lo sa. Uccide lungo quelle linee, al fondo di quelle linee muore. C’è una geometria, tu la senti, lei non ti tradisce”.
La traiettoria messa a punto dal “Mistico” supera con successo il bivio incapace di dare le giuste indicazioni al raggiungimento dell’oasi dove tutto è sano ristoro. Il primo effetto dello sparo veglia sull’anima a stretto contatto con il bene istruito all’ amore per Hallelujah Wood, una donna che troppo spesso indugia nel gioco dell’assenza e al pari dell’identità del colpo “Mistico” diventa bersaglio centrato dell’età matura di un uomo.
Ancora un abbandono per Abel inseguito dal destino che lui stesso riconosce “nelle grandi solitudini dove sono stato prima bambino, poi uomo a undici anni, infine vecchio a diciannove…” nell’ esito dell’analisi introspettiva di Baricco in cui l’appuntamento con il privilegio del domani è fissato in un ambientazione cinematografica.
Il tempo in uso dello sparo perfetto dilata un ventaglio di luoghi dove Abel non è mai stato, perché dalle profezie della bruja (strega e sciamana) in verità egli non è mai nato. Dovrà prima sopportare il dolore e, per la prima volta, fare da maestro al giusto verso dell’anima coinvolta nella traiettoria sospesa.
Acuta la penna che scrive di polvere da sparo per ritornare alla vita anziché fare da guardiano alla chiusura del cerchio. Alla fine si nasce. Alla caduta segue il salto innamorato dell’eterno.
“Sento una vibrazione e allora sparo. Che ne so, come una vibrazione. Estraggo e sparo. Un minuscolo fremito del mondo, ecco. Dura meno di un istante”.
Al nastro di partenza come un western visionario, una breve sosta sulle ali imbalsamate di un uomo basta al nutrimento di un romanzo educato al mestiere di vivere. Lo stile narrativo del fondatore della scuola Holden interroga chiunque passi dalle parti della sua scrittura.
Il Maestro Baricco nasce genio matematico rimasto imbrigliato nell’evoluzione geometrica del suo talento. Da qui si prefigura alquanto improbabile la quiete di una narrazione dipendente dalle acrobazie linguistiche. Al temerario lettore non resta che munirsi di un personale metodo interpretativo, al fine di uscirne psicologicamente indenne da un inchiostro pulsante della vertigine in senso antiorario.
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