Tra tradizione ed evoluzione: com’è cambiata la vendemmia nelle case dei siciliani

Tra tradizione ed evoluzione: com’è cambiata la vendemmia nelle case dei siciliani

CATANIA – Settembre mese di vendemmia. Sin dai tempi più antichi vendemmiare non voleva dire solo raccolta dell’uva per ottenere il vino, ma anche momento per riunire tutta la famiglia.

È quello che ci racconta una nonna catanese che, da quando era una bambina, è solita fare vendemmia con i suoi vicini di casa e ancora oggi, insieme con suo fratello, si dedica a questa attività vivendo in prima persona i cambiamenti che la tecnologia ha apportato.

“Vendemmiare, per noi, è sempre stata una tradizione. Le mamme preparavano il pranzo, portando le riserve dell’anno, cioè pomodori secchi, mostarda, formaggio e olive, e tutti insieme partivamo sui carretti per raggiungere la vigna. A partecipare erano solo i membri della famiglia e vedevamo queste giornate come un momento di divertimento e allegria. Oggi, invece, la tradizione non è così forte come 50 anni fa; nonostante resti ancora un mestiere di famiglia, sono sempre meno i giovani che ci lavorano, poiché ora nei campi ci sono anche gli operai”.

Questo non è l’unico aspetto che è cambiato durante gli anni: l’utilizzo delle macchine ha reso tutto meccanizzato e veloce, una volta si faceva tutto a mano: “Non appena veniva raccolta tutta l’uva – dichiara la signora –, gli uomini, i cosiddetti “pestatori”, iniziavano girando a pigiarla a piedi scalzi o con degli appositi stivali. Anche questo si trasformava in un momento di divertimento, che vedeva i “pestatori” cantare e intrattenere i suoi familiari”.

Anche i mezzi utilizzati erano diversi. Oltre alle macchine che puliscono direttamente il chicco, rilasciando il mosto già pronto per la fermentazione, diverse sono anche le botti dove si conserva il vino: quelle di un tempo erano in legno, oggi sono in vetroresina. Un’altra differenza sostanziale sono i contenitori con i quali si trasporta il mosto. I vecchi recipienti erano sacchi morbidi di stoffa, chiamati otre, che i contadini portavano in spalla, quelli moderni sono dei semplici bidoni in vetroresina.

Ciò che è rimasto invariato sono gli orari di lavoro: già alle 7 del mattino si è pronti per il giro dei campi e tra le 3 e massimo le 5 del pomeriggio si stacca per ricominciare il giorno dopo. Oggi, come a quel tempo, è necessaria la prenotazione al palmento e aspettare le consuete 24 ore prima di poter portare il vino a casa e poi, come ogni tradizione che si rispetti, attendere l’11 novembre per assaporarlo.

“Solo le famiglie come la mia che hanno sempre vissuto la vendemmia – conclude la nonna – sanno cosa vuol dire realizzare il proprio vino e vivere questi momenti di serenità e piacere con i propri cari”.

Foto: Pagina Facebook Feudo Principi di Butera