La storia della mamma (catanese) delle bambole

La storia della mamma (catanese) delle bambole

Laura è una reborner. E una brava reborner crea bambole che somigliano a neonati in carne e ossa. Per alcuni sono inquietanti, per altri collezionismo, per altri ancora oggetti di cui prendersi cura per colmare un vuoto, un lutto o un aborto. Per lei è solo arte.

«La peggiore critica me la fece una mia amica, alcuni anni fa: “Sei un’artista, ma a me le tue bambole sembrano bambini morti”». E invece per Laura Cosentino, reborn artist trentaduenne di Catania, quelle bambole sono arte viva e una professione in divenire. E hanno una storia, un nome, il peso di un vero neonato e persino un certificato di nascita. Louisa, Sili, Emily, Mariellaa, Sophie, Isabelle, Alessio sono bambole realizzate in vinile (ma possono essere anche create in silicone) nel suo studio-nursery dove le crea, le fotografa nella culla e poi le prepara per l’adozione alle “future mamme” vendendole sul sito www.laurareborndolls.it. Chi le crea, tenta di farle somigliare quanto più possibile ad un bambino reale, in genere un neonato. Tutte le parti sono realizzate con estrema cura a partire dai capelli – attaccati uno ad uno con una particolare tecnica chiamata rooting – passando per la colorazione della pelle, le venature e i capillari, i rossori del corpo: più la bambola è realistica, maggiore è la bravura di chi l’ha realizzata. Nel 2010, dopo una laurea in Scienze della Comunicazione e complice un’amica che le ha schiuso le porte di questo mondo, Laura ha deciso di documentarsi sul web, chattare con artiste d’oltreoceano ed entrare nell’universo delle reborn dolls, letteralmente “bambole rinate”. Negli Stati Uniti il fenomeno nasce negli anni ’90, in Inghilterra è una vera forma d’arte, mentre in Italia è ancora una nicchia «ma è solo questione di tempo, in molti giudicano questo mondo senza conoscerlo» spiega Laura che, con il suo Laurareborndolls.it lei è la mamma delle bambole, le crea scegliendo con la persona che “adotterà” fattezze, colore dei capelli, degli occhi e persino i vestitini che indosserà. «Creavo – precisa. Le richieste erano troppe e la gente troppo esigente con le tempistiche; oggi metto direttamente in vendita le mie creazioni su E-bay, scelgo i kit dalle scultrici, che creano i corpicini ispirandosi a bambini esistenti davvero. Per me dare vita a una nuova bambola è sempre un’emozione fortissima».

Ma cosa spinge una donna ad accogliere in casa una bambola, come se adottasse un bambino in carne ed ossa? «Il bisogno di colmare un vuoto affettivo, in alcuni casi. Ma posso assicurarti che la maggior parte delle persone lo fa per puro collezionismo, in Italia c’è chi possiede persino 50 bambole reborn, sono persone che magari prima collezionavano bambole in porcellana. C’è chi le regala alle proprie figlie, che in genere non hanno più di 12 anni. E poi c’è chi – ma è una percentuale inferiore – ha mancanze d’affetto». Laura rimarca spesso come le reborn dolls siano arte pura per chi li crea e un momento unico e speciale per chi li adotta. «Da sempre l’arte ha fatto discutere. C’è chi sborserebbe milioni di euro per un Van Gogh o un Gauguin, o farebbe una follia per possedere un libro del ‘500, un francobollo raro, un auto d’epoca di lusso. E chi per una reborn: le passioni e l’arte sono soggettivi». Una passione che costa: una bambola reborn «la vendo dai 500 ai 1000 euro, ma altrove pagano anche 20mila euro per una doll in silicone» spiega Laura «perché è arte, si tratta di un lavoro meticoloso che richiede dalle 2 settimane a un mese, lavorandoci per 6-8 ore ogni giorno. In un anno una buona reborner, ne produce quindici-venti di buona fattura, io sono già mamma di 50 reborner dolls».

Le donne, come racconta Laura, sono le sue principali acquirenti: c’è anche chi, ad esempio, le manda la foto della propria figlia da piccola e chiede che crei una bambola che le somigli o chi, come una nonna di Torino «me ne strappò una dalle braccia e mi pregò di venderla a lei: se ne era innamorata. Chi le vede dal vivo, spesso, ha dei veri e propri colpi di fulmine». Ma sono arrivate anche richieste da parte di uomini che le hanno regalate a moglie e figlie o di chi ha donato una reborn doll in occasione di un matrimonio. «Tra le centinaia di richieste, ne arrivano anche di particolari, è ovvio. Una volta una donna mi chiese di realizzare una bambola che somigliasse al figlio perduto: dissi categoricamente no». In generale, però, la giovane artista catanese, tende a sottolineare come chi compra, o meglio, “adotta” queste bambole non ha una vita fuori dal comune: Laura ha conosciuto personalmente molti delle acquirenti e assicura che «a scapito di quanto alcune persone possano pensare, sono donne con una vita normalissima, tanti interessi, degli affetti. Adottano una bambola e la tengono in bella mostra su una sedia o dentro a una culla. E poi, tra loro, c’è anche chi non ha potuto avere figli e magari accogliendo una bambola reborn colma un vuoto, prova gioia quando la guarda o l’accudisce, la culla o al mattino la cambia d’abito e le mette un fiocchino in testa: beh, cosa c’è di male in questo?».