CATANIA – Si è tenuto a Catania, al Palazzo delle Scienze, il convegno “Liberi di lavorare – Verso nuovi percorsi di inserimento delle persone detenute”, un appuntamento promosso dall’Università di Catania e da Seconda Chance per ribadire un messaggio centrale: “Il carcere non può essere un punto di arrivo, ma una fase di passaggio verso il reinserimento sociale e lavorativo della persona”.
Durante l’incontro sono stati presentati i risultati della ricerca Prison training for Job placement, basata su oltre 300 questionari somministrati ad altrettanti detenuti nelle carceri di Sicilia e Calabria.
Si tratta di un fermo immagine che arriva anche sul piano scientifico e che restituisce con chiarezza le condizioni di vita delle persone detenute negli istituti penitenziari del Sud Italia.
Nel corso del convegno è stato inoltre evidenziato come le indagini scientifiche e sociali abbiano permesso di mettere sotto la lente d’ingrandimento numerose criticità, anche strutturali. Particolare attenzione è stata rivolta alle carenze nei percorsi formativi e alle difficoltà concrete che emergono dopo la detenzione, nei passaggi legati alla rieducazione e al reinserimento.
Tra i primi interventi, quello di Maurizio Nicita, responsabile Seconda Chance Sicilia: “Dai dati emerge con chiarezza quanto la formazione professionale e l’accesso al lavoro rappresentino leve decisive per offrire una seconda possibilità a chi sta scontando una pena, trasformando il tempo della detenzione in un’opportunità di crescita personale e di restituzione alla comunità“.
Al dibattito hanno preso parte esponenti della magistratura, dirigenti dell’amministrazione penitenziaria, docenti universitari e operatori del sociale. Presente anche mons. Luigi Renna, arcivescovo metropolita di Catania, che ha concentrato il suo intervento sul valore umano e sociale di percorsi capaci di riconoscere nella persona detenuta una risorsa per la comunità: “Il problema non è solo essere liberi dalle carceri. Queste persone che abbiamo incontrato non sono sempre state libere di lavorare per tanti condizionamenti, a volte sono state assoldate dalla criminalità organizzata. Altri hanno concepito il lavoro come qualcosa che badasse al profitto. Il vero lavoro libera l’uomo e gli dà opportunità di crescere e guardare al futuro con grande speranza“.
“Nessuno è il proprio errore”
Uno degli interventi più significativi è stato quello del sociologo Pierdonato Zito, condannato all’ergastolo e oggi in semilibertà, collegato da remoto al convegno. Il suo contributo è stato l’occasione per una riflessione in prima persona: “Nessuno è il proprio errore, ma è come reagisce al proprio errore. Durante la detenzione ho partecipato a tanti corsi e ho conseguito la laurea, e credo che se avessi incontrato Socrate prima, non mi sarei mai trovato a vivere questa vita”.
Obiettivo dichiarato, guardando ai prossimi mesi, è rafforzare le sinergie tra università, istituzioni, terzo settore e mondo produttivo, per costruire modelli concreti e replicabili di inclusione: perché il diritto alla rieducazione non resti un principio astratto, ma diventi una realtà quotidiana.
In questa direzione si è espresso anche Marco Romano, ordinario di Economia e Gestione delle Imprese e WP Leader Entrepreneurship fostering social cohesion and social sustainability (GRINS), chiarendo la traiettoria del lavoro avviato: “Questo progetto ci permette di rendere più efficace l’intervento in diversi contesti, facendo leva su un aspetto per noi ricercatori fondamentale: l’acquisizione del dato per trasformarlo in conoscenza. L’Università vuole entrare nella rete di supporto concretamente. Abbiamo creato uno spazio fisico immersivo per prenderci carico di questi soggetti svantaggiati e formarli. L’obiettivo è interagire e incuriosire gli interlocutori, per sensibilizzarli al tema della formazione”.



