Quella bottiglia abbandonata tra gli scogli di Catania e il messaggio che tutti dovremmo leggere

Quella bottiglia abbandonata tra gli scogli di Catania e il messaggio che tutti dovremmo leggere

CATANIA – C’è un cartellone pubblicitario apparso nei giorni scorsi a Catania, e non è uno qualunque. Non cerca di venderti niente. Non promette leggerezza né evasione. Non strizza l’occhio all’estate. Ti ferma, ti guarda dritto negli occhi e ti dice: “Se deve finire così, non beveteci nemmeno”.

Un’immagine cruda: questa frase è incisa su una bottiglia di birra Ichnusa abbandonata tra gli scogli, come un corpo estraneo, un’intrusione violenta in un paesaggio naturale. Uno sfondo grigio, roccioso, che ricorda la costa catanese – aspra, lavica, bellissima e spesso oltraggiata.

È una bottiglia di vetro. Non plastica. Non una lattina qualunque, usa e getta. È vetro: pesante, materiale eterno, nobile, pensato per durare – e dunque resistente -, riutilizzabile. Ma anche il vetro, se lasciato tra le rocce come un insulto, diventa rifiuto. Diventa una vergogna.

Una birra, una denuncia

Chi passa davanti a quel cartellone, lungo le strade del capoluogo etneo, non può non sentirsi chiamato in causa. Perché quella frase, durissima, è una accusa diretta a chi consuma e abbandona, a chi pensa che la città sia un’estensione del proprio salotto – o peggio, del proprio bidone.

Ma è anche molto di più: è il tentativo, coraggioso, di un marchio commerciale di invertire la narrazione, ribaltare la logica promozionale e fare cultura. Una scelta che, nel deserto dell’indifferenza e della pubblicità vuota, ha il sapore della resistenza civile.

Un discorso che vale ovunque: il rispetto non è una questione locale. È un dovere universale.

Catania e il mare negato

Catania è una città che ha il mare accanto, ma non sempre con sé. Il lungomare è spesso ostaggio delle auto, delle strutture private, delle costruzioni abusive.

E quando non è violato dal cemento, lo è dai rifiuti. Le scogliere nere, così uniche, diventano troppo spesso cestini a cielo aperto: bottiglie, lattine, mozziconi, cartoni di pizza.

Non è un caso che proprio qui quel cartellone colpisca con maggiore forza. Perché parla di una ferita ancora aperta. Di una città che si specchia in un mare bellissimo ma sporco, dove l’inciviltà si è fatta costume e l’educazione ambientale è rimasta una promessa incompiuta.

Il peso del turismo e della superficialità

Con l’estate alle porte, anche Catania si prepara a una nuova ondata di turisti. Ma la domanda è sempre la stessa: siamo pronti a ospitare senza distruggere? A valorizzare senza sfruttare? A condividere senza svendere?

Il messaggio di Ichnusa è potente anche per questo. Non si limita a dire “non inquinare”: ti chiede coerenza. Ti chiede rispetto. Ti dice: se vuoi bere la nostra birra, vivere la nostra terra, allora dimostra di meritarlo.

Un messaggio che suona particolarmente forte in una città come Catania, dove la bellezza naturale convive ogni giorno con l’incuria, e dove troppo spesso l’abitudine a “chiudere un occhio” ha generato mostri.

Non è solo una questione ambientale

Sporcare è un atto politico. Significa scegliere deliberatamente di delegare le conseguenze ad altri, di trattare lo spazio pubblico come cosa propria – o peggio, come cosa di nessuno. E in una città già provata dal traffico, dal degrado urbano, dalle emergenze rifiuti cicliche, ogni gesto conta. Anche una bottiglia.

Quel cartellone parla alla coscienza collettiva, e lo fa senza mezzi termini. È un invito a guardarsi allo specchio, a capire che non si può più fare finta di nulla. Che non c’è più tempo per i piccoli gesti di maleducazione quotidiana travestiti da “tanto che sarà mai”.

Una pubblicità che ci umilia, se serve a svegliarci

Siamo così abituati a pubblicità che ci blandiscono, che ci fanno sentire furbi, belli e spensierati, che quando qualcuno ci prende a schiaffi – anche se è un marchio di birra – fa rumore.

Ma forse è proprio questo il punto: se un’azienda deve dirci che siamo incivili, è perché noi, cittadini e istituzioni, abbiamo fallito. E se serve che lo faccia con un’immagine forte, che resti in testa e bruci nello stomaco, ben venga.

Un concetto scomodo in un’epoca in cui il consumatore è sempre “sovrano”. Qui invece viene messo in discussione. Interrogato. Educato. Per una volta, finalmente, responsabilizzato.

La speranza (e la responsabilità) parte da qui

Immaginate se ogni azienda, ogni esercente, ogni bar di Catania – o d’Italia – cominciasse a fare lo stesso: a denunciare, a pretendere comportamenti virtuosi. Se il marketing si trasformasse in azione civica. Se la comunicazione diventasse strumento di cambiamento, e non solo di consumo.

Allora forse non ci sarebbe più bisogno di cartelloni così. Perché il messaggio sarebbe già parte della nostra pelle, delle nostre scelte, del nostro quotidiano.

Non ci sono più scuse. Né geografiche, né culturali. Se a Catania una bottiglia di vetro viene lasciata a marcire tra le rocce, il problema non è “qualcun altro”. Il problema siamo noi.

E allora che ben vengano messaggi scomodi. Che ben vengano cartelloni che parlano chiaro e ci mettono davanti al nostro riflesso. Se serve uno shock visivo per svegliarci, allora Ichnusa ha fatto centro.

E se non abbiamo il coraggio di cambiare, allora sì: meglio non bere nemmeno.

Fonte foto: Pagina Facebook – Catania dà spettacolo