Quarantuno anni dalla scomparsa di Giuseppe Fava: un simbolo della lotta alla mafia Catanese

Quarantuno anni dalla scomparsa di Giuseppe Fava: un simbolo della lotta alla mafia Catanese

CATANIA – Sono trascorsi ben 41 anni dall’uccisione di Giuseppe Fava da parte di Cosa Nostra. Giornalista, scrittore, conduttore radiofonico e sceneggiatore, un uomo dalle mille risorse che amava “mettere la faccia”, ma anche il cuore, in quello che faceva.

Giuseppe Fava

Negli anni lavorò per diverse testate, tra cui “Giornale del Sud”, “Espresso sera” e altri quotidiani sportivi. È stato fondatore de “I Siciliani”, giornale antimafia della Sicilia, che si occupava principalmente di cronaca. S

criveva di svariati argomenti, ma quelli a cui “teneva” maggiormente e sui quali puntava, furono una serie di interviste ai boss mafiosi di Cosa Nostra.

Nel 1980 diventò direttore responsabile del “Giornale di Sicilia”, creando uno staff redazionale da zero, affidando gli incarichi a giovani con pochissima esperienza, alcuni dei quali del tutto inesperti nel settore.

La Redazione di Giuseppe Fava

A farne parte erano il figlio Claudio Fava, Elena Brancati, Rosario Lanza, Riccardo Orioles, Michele Gambino, Antonio Roccuzzo e Fabio Tracuzzi.

Ben presto il “Giornale di Sicilia” si trasformò in un quotidiano “coraggioso e senza paura”. Infatti, il principio cardine su cui si fondava la sua linea editoriale era “basarsi sulla verità per realizzare giustizia e difendere la libertà“. Proprio in quel periodo riuscì a denunciare gli affari loschi di Cosa Nostra nel Catanese, continuando in questo modo per un anno, ininterrottamente.

In particolare però, furono tre gli eventi che segnarono la sua “fine”. In primis il suo schieramento a favore dell’arresto del boss Alfio Ferlito. Poi la sua disapprovazione riguardo la costruzione di una base militare a Comiso.

In ultimo, l’arrivo di nuovi imprenditori al giornale, quali Salvatore Lo Turco, Gaetano Graci, Giuseppe Aleppo e Salvatore Costa. Nomi che all’inizio non dicevano granché, in quanto soggetti non molto conosciuti, definiti all’interno del libro scritto dal figlio Claudio, “La mafia comanda a Catania” come “tipi ambiziosi, astuti e pragmatici”.

Il primo “avvertimento”

Per di più, contemporaneamente, erano cominciati gli atti intimidatori per disincentivare Fava e “i suoi” a scrivere di determinate “faccende”, dalle quali secondo Cosa Nostra doveva “starne fuori”.

Organizzarono addirittura un attentato, con una bomba contenente un chilo di tritolo. Fortunatamente però non ne rimase vittima. In seguito, la prima pagina del “Giornale del Sud” che denunciava alcune attività di Alfio Ferlito, venne sequestrata nel momento precedente alla stampa e censurata, mentre il direttore si trovava fuori.

Poco tempo dopo Fava fu licenziato, e nonostante occupazioni e proteste dei giovani giornalisti, il giornale aveva ormai un destino segnato, ovvero quello di chiudere definitivamente per volere degli editori stessi. È esattamente da questo che nasce la nuova rivista con cadenza mensile de “I Siciliani“.

Infatti, ritrovandosi senza lavoro, Giuseppe Fava decise di fondare una cooperativa, dal nome “Radar“, con l’appoggio dei suoi collaboratori. Quindi grazie a due rotative di seconda mano acquistate tramite cambiali, riuscirono a pubblicare il primo numero della rivista, precisamente nel novembre 1982.

La rivista “I Siciliani”

Si capì fin da subito che si trattava di un colpo importante sferrato alla mafia, per cercare di contrastare e reprimere quel fenomeno che aveva coinvolto il capoluogo etneo.

Le inchieste della rivista divennero ben presto un caso politico e giornalistico, ma il “movimento antimafia“, così come venne delineato già al principio, non accennò assolutamente a fare un passo indietro, anzi. La rivista denunciava di tutto, da accadimenti “grossi” e rilevanti a piccole storie di ordinaria delinquenza.

“I quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa”

L’articolo più importante scritto da “I Siciliani” e firmato personalmente da Fava, fu proprio il primo. Era intitolato “I quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa“, riferendosi attraverso un’inchiesta di denuncia, alle attività illecite di quattro imprenditori catanesi.

Si trattava di Carmelo Costanzo, Gaetano Graci, Mario Rendo e Francesco Finocchiaro, ma anche di altri soggetti come Michele Sindona.

In pratica Fava aveva collegato loro quattro al clan mafioso del boss Nitto Santapaola. Nel 1983, ovvero l’anno successivo, Mario Rendo, Gaetano Graci e Salvatore Andò, tentarono di comprare il giornale, in modo da poterlo controllare da dentro. Ottennero solo dei “no” secchi e quindi il giornale continuò ad essere indipendente. Nelle settimane successive la rivista mostrò fotografie di Santapaola insieme a politici, imprenditori e questori.

L’omicidio di Giuseppe Fava

La sua ultima intervista fu rilasciata il 28 dicembre 1983, per l’esattezza sette giorni prima della sua morte, al programma di Enzo Biagi, nella trasmissione “Film story” che andava in onda sulla Televisione Svizzera Italiana.

Il 5 gennaio 1984 alle ore 21:30, Giuseppe Fava, detto “Pippo”, venne ucciso da cinque proiettili calibro 7,65 alla nuca, mentre aveva appena lasciato la Redazione per recarsi in via dello Stadio con la sua Renault 5.

Le “non” indagini

L’omicidio lo classificarono come “delitto passionale” e le indagini, furono quasi immediatamente chiuse, perché per il sindaco di allora, Angelo Munzone, la mafia a Catania non esisteva e l’onorevole Nino Drago temeva che i cavalieri potessero scegliere di spostare le loro fabbriche al Nord.

Vennero fuori diverse ipotesi e moventi, tranne l’assassinio di tipo mafioso, che invece era una pista appoggiata dall’alto commissario Emanuele De Francesco e dal questore Agostino Conigliaro.

Non venne organizzata nemmeno una cerimonia pubblica, con la presenza delle cariche cittadine. Al funerale infatti c’erano soltanto poche persone.

Fava scriveva spesso dei funerali di stato realizzati per altre vittime della mafia, con ministri e altre cariche pubbliche. Il suo invece venne disertato da molti, ed erano presenti solo alcuni membri del Partito Comunista Italiano (PCI), e il presidente della Regione Santi Niciti.

Le accuse con fondamento

Una seconda cerimonia funebre ebbe però luogo nel suo paese natale, nella Basilica di San Paolo di Palazzolo Acreide. Questa, contrariamente alla prima, fu molto seguita, avendo una grande partecipazione popolare.

Le accuse di Fava lanciate mediante il giornale, furono in seguito prese in riesame dalla magistratura. Le collusioni tra mafia e cavalieri del lavoro catanesi si rivelarono veritiere, portando ad avviare dei procedimenti giudiziari.

Il maxi-blitz

Le indagini proseguirono fino al 1993, dopo diversi intoppi e false piste, fino al giorno in cui venne organizzato un maxi-blitz con 156 arresti contro il clan Santapaola denominato “Orsa Maggiore”.

L’operazione permise d’incriminare Nitto Santapaola, in qualità di mandante dell’omicidio di Fava e il nipote Aldo Ercolano, come esecutore materiale.

Santapaola-Ercolano

Nel 1994 si aggiunsero anche le dichiarazioni di Maurizio Avola, che si autoaccusò di aver avuto un ruolo operativo determinante nel delitto e indicò anche i nomi degli altri assassini.

Nel 1998 si chiuse a Catania il processo denominato “Orsa Maggiore 3”. Per l’omicidio di Giuseppe Fava furono condannati all’ergastolo il boss mafioso Nitto Santapaola, ritenuto il mandante, Marcello D’Agata e Francesco Giammuso come organizzatori, e Aldo Ercolano come esecutore insieme a Maurizio Avola.

Nel 2001 vennero confermate dalla Corte d’appello di Catania le condanne all’ergastolo per Nitto Santapaola e Aldo Ercolano. Mentre furono assolti Marcello D’Agata e Franco Giammuso. Un paio d’anni dopo, nel 2003, si concluse il processo, che diede l’ergastolo a Nitto Santapaola e Aldo Ercolano, e sette anni di reclusione a Maurizio Avola.

Il ricordo del sindaco e dell’Amministrazione Comunale

Il sindaco Enrico Trantino, anche a nome di tutta la giunta comunale, ha diffuso una nota:

A distanza di tanti anni dalla sua uccisione, la città di Catania ricorda con emozione l’impegno meritorio per la legalità e la lotta alla criminalità organizzata, di un valoroso giornalista e scrittore, che seppe coniugare il rigore informativo con quello della denuncia di tanti mali della Sicilia e di Catania, nell’interesse della verità e della giustizia.

Sono rimasti un monito indelebile, a memoria futura anche per le nuove generazioni, le sue denunce del malaffare e lo sfruttamento delle risorse pubbliche per interessi illeciti, descritte con impareggiabile coraggio nelle battaglie civili di cui si è reso protagonista con i suoi scritti, ancora di grande attualità”.

Al presidio cittadino promosso nel pomeriggio sul luogo dell’agguato di 41 anni fa con la lapide che lo ricorda, l’Amministrazione Comunale è stata rappresentata dal vicesindaco Paolo La Greca che ha deposto un mazzo di fiori in memoria di Giuseppe Fava.