Liberazione, Sebastiano e i campi di concentramento: “A 93 anni sembra ancora ieri”, storia di guerra e deportazione in Austria

Liberazione, Sebastiano e i campi di concentramento: “A 93 anni sembra ancora ieri”, storia di guerra e deportazione in Austria

CATANIA – Oggi si festeggia l’anniversario della liberazione d’Italia. Una pagina importante della storia del nostro Paese perché simboleggia la vittoriosa lotta di resistenza militare e politica attuata dalle forze partigiane durante la seconda guerra mondiale.

Tanti furono i prigionieri italiani deportati e che dovettero sottostare ai soprusi tedeschi. Sebastiano Mancuso, misterbianchese di 93 anni, è stato uno di quelli. Sebbene siano passati ormai molti anni, le immagini di quella terribile vicenda sono sempre vive e ben impresse nella sua mente. “Sono esperienze che ti segnano la vita – dichiara Sebastiano -. Non potrò mai dimenticare ciò che ho passato in quel campo di concentramento. Solo chi, purtroppo, l’ha vissuto in prima persona può capire di cosa sto parlando”.

Quando divenne prigioniero di guerra era l’8 settembre 1943 e si trovava a Bolzano, era lì per il servizio militare. Dopo tre giorni fu portato in Austria nel lager 17/A e per otto giorni rimase rinchiuso dentro dei capannoni. “Eravamo così tanti e non potevamo uscire che siamo stati invasi dagli insetti. Per fortuna ci hanno lavati e disinfettati”.

Poi furono trasferiti nei campi di lavoro e da quel momento passarono ben 22 mesi prima di poter tornare alla sua libertà. “La mattina la sveglia era alle 5racconta Sebastiano – e se non eravamo pronti in cinque minuti, eravamo puniti. Tutto il giorno si lavorava in trincea per scavare. Il pranzo consisteva in un po’ di pane, mentre per cena ci davano del brodo con qualche patata”.

La vita era durissima e non tutti riuscivano a sopravvivere, molti purtroppo non sono tornati. Qualche volta, chi era fortunato, rubava delle patate da un campo vicino, giusto per mangiare qualcosa in più, perché la fame e la debolezza era davvero tanta. Di tanto in tanto, come se non bastasse quello che già doveva subire, il protagonista della nostra storia, veniva picchiato e frustato senza alcun motivo e al tempo stesso insultato.

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La mancanza della famiglia era un’altra nota dolente della prigionia. Io scrivevo ogni settimana ai miei familiari – continua Sebastiano -, ma mentre loro ricevevano ogni mia lettera, io ne ho ricevuta solo una dopo 18 mesi. Quando mi è arrivata, all’inizio non ho avuto neanche il coraggio di aprirla talmente era tanta l’emozione”.

Il lungo calvario, durato quasi due anni, terminò il 7 maggio 1945, un paio di settimane dopo la liberazione d’Italia. “Quella mattina abbiamo visto lenzuola e bandiere bianche che sventolavano per indicare che la guerra era finita e finalmente eravamo liberi. Eravamo tutti contenti e il mio primo pensiero è stato quello di mettermi subito in cammino per andare a riabbracciare di nuovo la mia famiglia”. Tornare a casa non è stato affatto semplice, perché il cammino fu lungo e trovare qualcuno che desse un passaggio era difficile. Infatti, tramite mezzi di fortuna, ovvero il treno o talvolta a piedi, il 29 maggio riuscì ad arrivare in Italia, a Bolzano, ma per raggiungere la sua Catania ci vollero altri 13 giorni, sempre con gli stessi mezzi.

“Quando sono arrivato a casa fu un’emozione unica – conclude Sebastiano -. Non mi sembrava vero che dopo tutto quel tempo potevo rivedere la mia famiglia. I miei genitori e miei fratelli hanno pianto dalla felicità. Dopo quella esperienza ho ripreso la mia vita. Sono stato impiegato al comune, mi sono sposato e con mia moglie abbiamo messo su una bella famiglia di quattro figli, che a loro volta mi hanno dato la gioia di diventare nonno”.

Una vicenda che non augura mai a nessuno e che ha voluto denunciare e ricordare con determinazione.