“Potremmo anche morire insieme… uccidendoci”: l’incubo di una catanese perseguitata dall’ex

CATANIA – La Procura Distrettuale della Repubblica di Catania, nell’ambito dell’attività investigativa svolta dai carabinieri della Stazione di Catania Librino a carico di un 34enne catanese, indagato per “atti persecutori”, ha richiesto ed ottenuto dal GIP del Tribunale di Catania, nei suoi confronti, la misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, con l’ulteriore prescrizione di mantenere una distanza non inferiore a 500 metri sia dai predetti luoghi che dalla vittima.

Le indagini sul caso

Le indagini, coordinate dal pool di magistrati qualificati sui reati che riguardano la violenza di genere, in uno stato del procedimento nel quale non è ancora intervenuto il contraddittorio con l’indagato, hanno fatto luce sulle ripetute e invasive condotte vessatorie, poste in essere dall’uomo, dirette a minare la serenità della vittima, una 31enne catanese.

Al riguardo, la donna, dopo una lunga relazione sentimentale con l’indagato durata oltre 16 anni, nel mese di ottobre del 2023 aveva deciso di troncare il rapporto di convivenza

Tale scelta non sarebbe stata affatto accettata dall’indagato, il quale avrebbe iniziato a minacciare e molestare la 31enne, forte della conoscenza di ogni abitudine, dei luoghi frequentati e di tutte le amicizie.    

La fine della relazione e l’incubo della donna

Tenendo una serie di comportamenti molesti ed intimidatori, il 34enne, anche senza mai compiere alcuna violenza fisica o lesioni in danno all’ex, le avrebbe comunque ingenerato un continuo stato di ansia e di paura, come anche un fondato timore per la sua incolumità, costringendola, da ultimo, a cambiate le proprie abitudini di vita. 

In più occasioni l’avrebbe quindi minacciata: “Potremmo anche morire insieme…uccidendoci…oppure “Se ti succedesse qualcosa io ne morirei, non avrei più motivi per andare avanti” e molestata appostandosi ripetute volte davanti al luogo di lavoro della stessa, al fine di convincerla a riallacciare la relazione sentimentale con lui, fino a pedinarla mentre rientrava a casa con una collega, tempestandola di vocali sul suo smartphone per farla scendere dall’auto ed avere un confronto con lui. 

La gelosia e le minacce di compiere gesti autolesionistici

Ed ancora, avrebbe inviato messaggi ad un’amica di lei, chiedendole appuntamenti per portare anche l’ex e vederla o, in altre occasioni, avrebbe chiesto a familiari e conoscenti della donna, informazioni per sapere dove si trovava.

Così facendo, l’avrebbe ulteriormente tormentata con numerose telefonate, sms e messaggi di posta elettronica, su note applicazioni social, anche in ore notturne, tanto da costringere la vittima a cambiare il numero di cellulare per ben tre volte.



L’indagato, in preda ad una gelosia ossessiva, avrebbe poi minacciato anche di compiere gesti autolesionistici, per convincere la 31enne a riallacciare la relazione sentimentale con lui: “Cosa faresti se mi succedesse qualcosa? Mi cercheresti? Verresti in ospedale? E se mi succede qualcosa di più grave? Ti devasterebbe o ti sarebbe indifferente?”.

La folle possessività: “Sei mia”

Proprio in una di queste occasioni, l’indagato, quando la donna gli avrebbe comunicato di volerlo lasciare, si sarebbe puntato un coltello da cucina al petto dicendole “Uccidimi, colpiscimi, nella speranza che lei non andasse via di casa.  In numerose occasioni il 34enne, utilizzando espressioni di morbosa possessività, le avrebbe infine scritto: “(ti) voglio solo MIA”, “Sei tu la mia persona”.

L’insieme di tutti questi gravi episodi, hanno indotto, la malcapitata a limitare le uscite di casa da sola, poiché temeva ulteriori raid da parte dell’uomo, costringendola, addirittura, a portare sempre con sé lo spray al peperoncino per autodifesa.

I comportamenti dell’indagato sono stati riscontrati compiutamente anche dal narrato di testimoni e comunicate dai militari dell’Arma alla Procura della Repubblica, che ha chiesto l’emissione di provvedimenti cautelari al Giudice per le indagini preliminari il quale, in ragione delle esigenze cautelari ravvisate, tenuto conto della rilevante gravità delle condotte maltrattanti, ha deciso di adottare la misura cautelare ritenuta, al momento, più idonea, del divieto di avvicinamento con braccialetto elettronico.

I militari della Stazione di Librino, stante il rifiuto da parte dell’indagato dell’applicazione del presidio di controllo a distanza, hanno sottoposto il 34enne, come disposto dall’autorità giudiziaria, oltre che alla misura cautelare in parola, anche a quella dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.

LA RETTIFICA DELL’AVVOCATO DEL RAGAZZO

Di seguito, attraverso una nota stampa, la rettifica sui fatti da parte dell’avvocato Davide Tutino, Difensore del 34enne coinvolto nella vicenda.

La rettifica è necessaria in quanto, pur non riportando il nome dell’indagato, nell’articolo vengono citati estratti degli atti querelatori della persona offesa. Per correttezza verso i lettori, appare opportuno contestualizzare e correggere i fatti quando non sono presentati accuratamente. A parere di questo difensore, non tutte le condotte possono essere qualificate come stalking o da codice rosso; è essenziale valutare caso per caso se le affermazioni della persona offesa siano confermate anche dalla difesa dell’indagato. Nel caso di specie, il mio assistito, un ragazzo per bene, incensurato e di ottima famiglia, è completamente estraneo ai fatti riportati nell’articolo. Le accuse di “atti persecutori” sono state attentamente valutate dal Giudice per le Indagini Preliminari e, già in data 17 maggio 2024, ogni misura restrittiva a suo carico è stata revocata. L’ordinanza del GIP, infatti, ha riconosciuto che le condotte attribuite all’indagato non erano tali da compromettere la serenità e la libertà psichica della persona offesa, né da determinare un perdurante e grave stato di ansia o un fondato timore per la propria incolumità.

L’articolo pubblicato omette infatti di menzionare che il GIP di Catania ha accolto integralmente la difesa dell’indagato. Il GIP ha infatti valutato attentamente tutti i documenti prodotti dall’indagato (stampe di messaggi WhatsApp, tabulati telefonici, fotografie ed altro), al fine di dimostrare come il suo rapporto con la persona offesa fosse stato, da ultimo, altalenante e, comunque, come anche la donna avesse cercato di tentare, in qualche modo, di appianare la situazione di contrasto che si era venuta a creare. Il GIP, infatti, ha rilevato che, alla luce delle spiegazioni fornite dall’indagato e della copiosa produzione documentale, le esigenze cautelari sono venute meno, revocando quindi tutte le misure applicate“.