Pirateria, reato della globalizzazione: il controllo del potere e la democrazia in “gabbia”

Pirateria, reato della globalizzazione: il controllo del potere e la democrazia in “gabbia”

CATANIA – La globalizzazione ha cambiato il concetto di illegalità. Droghe, migrazioni e pirateria informatica sono gli scenari “nuovi” del mondo globalizzato che vedono sempre più coinvolta la criminalità organizzata e, talvolta, anche il buon senso dell’intellettuale.

Il mondo globale, preceduto dal periodo industriale e post-industriale, ha visto aumentare a dismisura i bisogni degli esseri umani. Da questi bisogni, la mercificazione massiva di tutti gli interessi sociali e culturali.

“Il sistema del potere definisce gli elementi culturali che vengono utilizzati dalla criminalità”, afferma il professore Josè Carlos Gomez Aguiar, antropologo, sociologo e ricercatore messicano attivo all’università di Amsterdam.

José Carlos Gomez Aguiar

È in questo contesto che si inscrivono alcuni dei crimini più perseguiti. Pirateria domestica, underlicencing (installazione di software su più dispositivi rispetto a quelli consentiti), hard disk loading (vendita di pc con installati software contraffatti), contraffazione del software e pirateria online, sono illeciti molto comuni dei giorni nostri.

La pirateria online, in particolare, sfrutta proprio il canale di comunicazione che, per antonomasia, appartiene alla globalizzazione: internet.

Ma da quando la pirateria è un reato? Perché esiste?

“La pirateria è un reato che nasce direttamente dal capitalismo. Prima di questo, tale crimine non esisteva. Oggi bisogna pagare per accedere alla cultura e, quando si pensa di accedere a essa senza pagare caro, si rischia una sanzione penale”, dichiara Aguiar.

Il copyright, a cui sono sottoposti la maggior parte dei prodotti culturali moderni, sembra essere, quindi, solo una copertura degli interessi capitalistici e aziendali.

“È proprio la tutela dell’interesse collettivo che, a volte, viene meno. Per questa ragione, spesso, la gente pensa che non sia poi così sbagliato infrangere la legge per liberarsi da uno Stato che, fondamentalmente, non ne difende il bene comune“, continua.

Non è possibile guardare la cultura e gli strumenti che ne consentono la diffusione solo con gli occhi (e le tasche) di una porzione della società che, per definizione, non è l’intera società, non è lo Stato.

Max Weber, noto sociologo, filosofo, economista e storico tedesco, attivo tra la seconda metà dell’800 e la prima metà del ‘900, ha sempre ritenuto il bene comune, e la sua tutela, la fonte di legittimità di uno Stato. Questa sua identificazione, infatti, coincide con la sua etica della responsabilità.

La realtà sociale odierna, velando gli interessi di pochi dietro un’apparente globalizzazione, erroneamente accostata al concetto di uguaglianza, sembra confermare, in questo caso, le teorie neoelitiste.

Tra queste, ricordiamo quella di Mills, il quale ravvisava una concordanza di interessi tra organizzazioni economiche, politiche e militari. Il potere politico, secondo il sociologo statunitense, sarebbe falsamente democratico e si identificherebbe in un’oligarchia dominante l’intera società. Di questa oligarchia non farebbero parte solo i politici in senso stretto, ma soprattutto gli imprenditori.

La speranza di Mills, attivo nella prima metà del ‘900, era quella di vedere la classe degli intellettuali costruire, con responsabilità, un “apparato di coscienza collettiva” in grado di contrastare l’élite dominante.

Questo avvicinamento appassionato, disinteressato e funzionale alla cultura sembrerebbe impossibile, allora, in un contesto in cui la riproduzione e diffusione libera dei prodotti culturali è diventata un reato: i prodotti culturali stessi, destinati ai ceti più abbienti, diventerebbero di esclusivo dominio dell’élite stessa e, quindi, non potrebbero mai contrastarla.

Dall’impossibilità di questo contrasto discenderebbe:
-un impoverimento costante della democrazia, che per definizione si basa sul diritto di opposizione;
-un incessante arricchimento economico da parte della classe imprenditoriale;
-un controllo sempre più saldo dell’intera società da parte dell’élite di potere.