Picchiate, violentate, rapinate… il racconto di una dottoressa di Guardia Medica: “Ho paura ad andare a lavoro da sola”

CATANIA – Quando per andare a lavoro ti serve una buona dose di coraggio e non sai se riuscirai a superare la notte indenne, non vuol dire che fai lo stuntman, ma che con ogni probabilità sei un medico di continuità assistenziale.

Facciamo ironia, ma c’è ben poco da ridere. Siamo alla seconda vittima nel giro di pochissimo tempo. Un anno fa è toccato a una dottoressa della guardia medica di Nicolosi, picchiata e rapinata durante il suo turno di lavoro, due giorni fa alla dottoressa violentata per ore a Trecastagni.

Per capire come ci si sente a convivere con una situazione così delicata e cosa ne pensa chi ne è coinvolto in prima persona, abbiamo contattato Maria Cipri, dottoressa di Medicina del Lavoro e da dieci anni titolare della guardia medica notturna di Mascalucia e Misterbianco.

“Non sono mai andata lì da sola, con me ci sono sempre mio marito e i miei figli, ma qualsiasi cosa succeda loro non sono neanche assicurati o autorizzati a stare lì – spiega la dottoressa -. Se per qualche motivo non possono accompagnarmi, io non vado perché è un vero rischio. Non tutti però hanno questa opportunità e sono costretti ad andare soli. Io sono fortunata, anche perché i miei familiari lavorano nello stesso ambito. Lavorare in queste circostanze è un pericolo per tutti, sia uomini che donne. Chiunque può essere aggredito da un ubriaco o uno psicopatico mentre sta semplicemente svolgendo il suo turno”.

La tensione è tangibile e la situazione sempre la stessa rispetto a un anno fa, nonostante le infinite richieste nulla è migliorato e il personale si sente completamente abbandonato. “Abbiamo fatto riunioni su riunioni e proposto tante soluzioni – continua -. Alla fine si è deciso di istallare le porte blindate e un sistema di videosorveglianza, a parer mio completamente inutili. Innanzitutto le strutture sono fatiscenti e non rispettano il decreto n. 81 del 2008 sulla sicurezza del lavoro, quindi mi sembra assurdo pretendere di costruire delle porte blindate in una struttura che prima si dovrebbe adeguare. Inoltre una volta che il paziente è dentro, porte blindate o no, può agire indisturbato. Quando sono in turno io non le chiudiamo neanche. Per quanto riguarda le telecamere, nella posizione in cui sono servono a ben poco e possono essere facilmente disattivate. Si era pensato anche di assumere un vigilantes o di spostare i presidi medici accanto ai carabinieri, opzioni evidentemente troppo costose e quindi finite nel dimenticatoio”.

Già prima di Natale, la dottoressa Cipri aveva chiesto un incontro con il direttore generaledell’Asp, decisa a contrastare questa decisione, ma non ha mai ricevuto risposta.

“Di norma, ogni ambulatorio – dichiara la dottoressa – dovrebbe assicurare almeno un infermiere e invece siamo completamente soli, come se la guardia medica non fosse un ambulatorio. Potrebbe succedere anche al contrario, un paziente potrebbe dichiarare di essere stato abusato e nessuno potrebbe testimoniare a favore o contro. Non c’è sicurezza per nessuno. Gli episodi spiacevoli sono all’ordine del giorno, sembra che ci sia un malcontento generale. Le persone vengono con delle pretese, senza capire che dobbiamo fare il nostro lavoro e non possiamo obbedire a ogni loro richiesta, non sono educati al rispetto di quello che facciamo”.

La dottoressa ha poi concluso indignata: “Il fatto che ci si deve portare un accompagnatore per stare sicuri sul proprio posto di lavoro è indecoroso. Mi sento offesa in prima persona, non possiamo continuare così. I vertici dell’Asp dovrebbero trattarci come figli e tutelarci, dal primo all’ultimo, e invece ci lasciano soli e non ci ascoltano”.

Clelia Mulà

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