CATANIA – Nella mattinata odierna, su delega della Procura Distrettuale di Catania, i carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Catania hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania, su richiesta di questa Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di 2 soggetti (in foto in basso da sinistra a destra Antonino Barbagallo, di 43 anni, e Samuele Cannavò, di 22 anni, entrambi di Paternò), chiamati a rispondere di concorso in omicidio, porto e detenzione illegale di arma comune da sparo, con l’aggravante di aver agito con premeditazione e con crudeltà e di aver commesso il fatto al fine di agevolare e rafforzare l’associazione mafiosa di appartenenza denominata clan “Laudani” intesi “Mussi i ficurinia”, gruppo Rapisarda operativo a Paternò, facente capo a Salvatore Rapisarda, in atto detenuto al regime del 41 bis O.P..
Ai due indagati viene contestato di essere gli autori dell’omicidio di Emanuele Pasquale Di Cavolo, 35 anni, inteso “Saddam”, il cui cadavere è stato ritrovato a Ramacca (CT) il 20 gennaio 2018.
La misura cautelare costituisce sviluppo delle indagini, delegate dalla Procura Distrettuale al Nucleo Investigativo del comando provinciale dei carabinieri di Catania, avviate a seguito dell’efferato omicidio, che hanno trovato peraltro riscontro nella parallela attività investigativa svolta in seno ad altro procedimento penale iscritto per il delitto di cui all’art.416 bis c.p. nell’ambito del quale si stava monitorando il gruppo mafioso Laudani stanziato nel territorio di Paternò (c.d. operazione En Plein 2).
Nel corso delle attività di indagine effettuate nel procedimento da ultimo citato, infatti, erano emersi assidui rapporti di frequentazione tra la vittima e alcuni esponenti del clan monitorato, tra i quali gli arrestati Barbagallo e Cannavò.
Le complessive emergenze investigative hanno consentito di ricostruire gli ultimi giorni di vita della vittima e i rapporti con gli altri affiliati, i quali in epoca immediatamente antecedente all’omicidio avevano manifestato malumori per la condotta tenuta di Di Cavolo, ritenuto soggetto inaffidabile, per la sua abitudine di parlare troppo e di mettere in giro voci denigratorie nei confronti di altri sodali. Da qui è scaturita la decisione di eliminare il giovane, portandolo in località distante dal luogo di origine e dall’area di operatività della consorteria mafiosa di appartenenza degli indagati.
Gli indagati Barbagallo e Cannavò sono chiamati a rispondere del delitto di omicidio, con le aggravanti della premeditazione, di aver agito con crudeltà verso le persone, avendo ferito la vittima con reiterati colpi di pietra, al punto da renderne irriconoscibili i tratti somatici, nonché di aver commesso il fatto con metodo mafioso e al fine di agevolare e rafforzare l’associazione mafiosa dei Mussi ‘i ficurinia operante a Paternò.
L’attività investigativa ha consentito di accertare, inoltre, grazie alle indagini balistiche delegate ai carabinieri del Reparto Investigazioni Scientifiche di Messina, che la pistola utilizzata per l’omicidio Di Cavolo era già stata utilizzata in occasione di una tentata rapina consumata il 30 dicembre 2017 ai danni dei titolari di un distributore di carburante di Paternò, fatto delittuoso per il quale Cannavò è in atto sottoposto a processo.
È stata accertata, infatti, una perfetta corrispondenza tra l’ogiva rinvenuta in sede di esame autoptico sul cadavere della vittima, gli ulteriori due proiettili rinvenuti sulla scena dell’omicidio, e l’ogiva rinvenuta sul teatro della tentata rapina, a riprova del fatto che il materiale balistico era stato esploso da un’unica arma.
Ulteriori accertamenti tecnico scientifici compiuti sui campioni ematici rinvenuti sulla scena del crimine hanno consentito di attribuire una delle tracce a Barbagallo.
Il provvedimento restrittivo è stato notificato a entrambi gli indagati in carcere in quanto essi sono detenuti dal 19 giugno 2018 perché colpiti dall’ordinanza di custodia cautelare emessa dal giudice per le indagini preliminari nel procedimento “En Plein 2”, la quale ha consentito la cattura di 19 appartenenti alla componente del clan Laudani operante nel territorio di Paternò, tutti chiamati a rispondere dei delitti di associazione di tipo mafioso, traffico di stupefacenti, tentata rapina, porto abusivo e detenzione illegale di armi.
L’operazione di oggi si inquadra in un’ampia strategia di contrasto della Procura Distrettuale della Repubblica di Catania e dei Carabinieri del Comando Provinciale che ha consentito, negli ultimi anni, grazie alla esecuzione di diversi provvedimenti restrittivi, di disarticolare il gruppo Luadani di Paternò.