Operazione Aquilia, dal furto d’auto alla richiesta del pizzo: estorsioni per migliaia di euro nel Catanese

CATANIA – L’operazione “Aquilia”, condotta dalla compagnia di carabinieri di Catania, in collaborazione con i militari dell’Arma di Acireale e Aci Catena, che ha portato all’arresto di ben 18 persone, è il risultato di una lunghissima attività d’indagine, che copre un periodo che va dal 2015 al 2018. Nei territori di Acireale e Aci Catena sono stati due i principali filoni d’indagine: uno riguardante il fenomeno dei cosiddetti “cavalli di ritorno” e alle estorsioni ai danni di esercizi e privati, e uno relativo allo spaccio di stupefacenti.

La truffa legata ai “cavalli di ritorno” è un’attività tipicamente mafiosa che caratterizza l’intera città di Catania e che nei territori coinvolti nell’indagine era particolarmente frequente: secondo quanto rivelato dagli inquirenti, tre dei 18 arrestati, specializzati nel furto d’auto, rubavano vetture per poi chiedere denaro alle malcapitate vittime per restituirle.

Nel corso delle indagini sono stati accertati almeno 7 episodi, tra estorsione e tentata estorsione, in zona Acireale. Due sono gli elementi ricorrenti in tutti i casi accertati: la tipologia di auto rubate e l’estrazione sociale delle vittime.

Le auto oggetto del furto erano principalmente vetture abbastanza antiche (i modelli preferiti erano Fiat Punto e Fiat Uno), più facili da scassinare. I mezzi coinvolti nei singoli episodi erano nella maggior parte dei casi proprietà di individui di estrazione sociale bassa, che erano più propensi a pagare il prezzo richiesto per la restituzione della propria autovettura, che variava dai 500 ai mille euro.

Le forze di polizia, inoltre, hanno constatato che tutte le vetture coinvolte non possedevano un’assicurazione furto-incendio e anche questo avrebbe contribuito a far cedere le vittime all’estorsione e far mantenere loro il silenzio sull’atto illegale ai loro danni.

Dei tre arrestati, è stato accertato che uno curava i dettagli del “cavallo di ritorno”, dal furto all’eventuale restituzione dietro ricezione di somme di denaro, mentre gli altri due si occupavano principalmente di contattare le vittime e richiedere il denaro.

Le estorsioni oggetto dell’indagine legata all’operazione Aquilia, però, sono andate ben oltre gli episodi di “cavalli di ritorno”. Nel corso delle verifiche eseguite dai carabinieri, sono stati accertati numerosi casi di estorsione e tentata estorsione ai danni di privati ed esercizi pubblici (principalmente panifici, farmacie e tabaccherie, ma anche aziende più vaste).

Diversi esercenti erano costretti a pagare il pizzo anche 2-3 volte l’anno per un totale, in alcuni casi, di 10-15mila euro. Dalle indagini sono emersi casi di estorsione della durata temporale anche di più di 15 anni.

Più generazioni di commercianti delle aree coinvolte nell’indagine, quindi, avrebbero avuto a che fare con gli esponenti dei clan locali e avrebbero ceduto ai loro ricatti, versando somme di denaro molto elevate. Fondamentale per i carabinieri è stato anche il contributo di coloro che, nonostante la paura e la tendenza a rimanere in silenzio per evitare ritorsioni negative in caso di denuncia, hanno deciso di offrire le loro dichiarazioni e le loro testimonianze alle forze di polizia.

Un contributo molto sentito è arrivato in particolare dai commercianti di seconda generazione, che hanno deciso di dire “basta”: “Per noi è importante contare sulla collaborazione della gente e ci auguriamo che siano sempre di più le persone che decidono di parlare”, ha dichiarato il procuratore Zuccaro.

 

 

Redazione

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