CATANIA – “La prova raccolta resiste alle censure difensive e converge verso l’imputato come autore del delitto, aggravato dalla crudeltà con cui è stato commesso“. È quanto si legge nelle oltre 100 pagine di motivazioni depositate dalla Corte d’assise d’appello di Catania. L’11 settembre scorso ha confermato la condanna a 21 anni di reclusione per Rosario Guzzetta, 53 anni. È ritenuto colpevole dell’omicidio di Rosario Cinturino, strangolato con una corda all’interno di un’auto nel marzo 1990.
Omicidio Rosario Cinturino (era il 1990)
Secondo la ricostruzione della Procura, rappresentata in aula dal procuratore generale Andrea Ursino, il delitto sarebbe stato causato da contrasti tra Guzzetta e la vittima nella spartizione dei proventi del traffico di stupefacenti.
Il caso, rimasto irrisolto per quasi tre decenni, ha avuto una svolta nel 2019 grazie alla revisione di vecchi fascicoli della polizia scientifica. Durante queste verifiche, sono stati individuati due frammenti di impronte papillari repertati sulla scena del crimine. Uno di questi corrispondeva al pollice della mano sinistra di Guzzetta, fotosegnalato nel 1984 per rapina.
Tuttavia, emergeva un dettaglio apparentemente incompatibile: Guzzetta risultava detenuto dal 1986 al 1993. Le indagini hanno però chiarito che il giorno del delitto (il 28 marzo 1990) Guzzetta si trovava fuori dal carcere di Nicosia (Enna) grazie a un permesso premio valido dal 15 al 30 marzo dello stesso anno.
La condanna per Rosario Guzzetta
La Corte d’assise d’appello ha quindi concluso per la responsabilità dell’imputato in concorso nell’omicidio, evidenziando che Guzzetta ha offerto un contributo determinante alla realizzazione del delitto, pur non essendo stato possibile identificare eventuali complici.
Le motivazioni fanno riferimento anche alle dichiarazioni della vittima prima di morire. Avrebbe descritto alcune fasi cruciali del delitto, come “un colpo di martello in testa” e il fatto di essere stato “sepolto vivo” nel bagagliaio dell’auto.
Le impronte
Un altro elemento determinante per la condanna è stata la posizione delle impronte di Guzzetta rinvenute all’interno della Fiat Panda: secondo i giudici, si trovavano in un punto incompatibile con una normale presenza a bordo come passeggero. Confermato così il coinvolgimento diretto nell’omicidio.