CATANIA – In un clima politico sempre più teso e controverso, l’approvazione del Decreto “carceri” ha sollevato un’ondata di polemiche e critiche. Il Parlamento, su iniziativa del Governo, ha dato l’ok al testo utilizzando il voto di fiducia, al fine di evitare “incidenti di percorso”. La Camera Penale di Catania “Serafino Famà” ha deciso di prendere una posizione forte e chiara, esprimendo le proprie preoccupazioni e denunciando apertamente le criticità del nuovo decreto. Lo ha fatto attraverso una lettera in cui lancia un accorato appello alla coscienza collettiva e alle istituzioni italiane. Evidenzia quelle che a suo dire sarebbero le gravi carenze del nuovo decreto, che invece di risolvere i problemi del sistema carcerario, rischia di aggravare ulteriormente la situazione. È, inoltre, un richiamo a non dimenticare coloro che sono detenuti, spesso in condizioni disumane, e a lavorare per una giustizia che sia davvero giusta e umana. Di seguito il testo integrale.
“Poiché il pudore e la vergogna non esistono più, il Parlamento, su iniziativa del Governo, ne ha approfittato: è stato approvato il cosiddetto Decreto “carceri”. Come? É stata posta la fiducia sul voto perché nulla faceva presagire un diluvio di consensi (non si sa mai).
Sono state introdotte nuove molteplici figure di reato (che produrranno nel tempo nuove carcerazioni); la resistenza passiva va in ugual modo punita. Sicché oggi Martin Luther King, Gandhi, Marco Pannella e molti altri cultori della libertà, potrebbero finire dietro le sbarre. Perché la giustizia, in Italia, si prevede e si amministra così: il Parlamento volta le spalle pure ai bambini delle madri detenute. Non accetta neppure la proposta Giacchetti che prevedeva quindici modestissimi giorni al semestre di incremento del beneficio della liberazione anticipata (vale a dire un mese su un anno di detenzione effettiva e meritevole).
Non una parola sulla custodia cautelare che produce ingiuste carcerazioni, poiché si continua a ragionare giudiziariamente in termini di carcerazione preventiva (abrogata formalmente ma riesumata in sede applicativa). Nulla viene deciso di immediato, idoneo a fronteggiare il sovraffollamento intramurario (+130%) e le condizioni reali di vita esistenti nelle strutture penitenziarie del nostro Paese. Nulla che riguardi l’automatico accesso a benefici alternativi alla detenzione per i reati comuni e per i meritevoli. Nulla, ovviamente, in materia di depenalizzazione (non sia mai), né in materia di funzionamento dell’esecuzione penale, praticamente abbandonata al suo destino.
Il Governo mostra di trovarsi nel caos nonostante le roboanti dichiarazioni di certi suoi esponenti: ha creato una popolazione di detenuti disperati (siamo giunti in agosto e i suicidi ammontano a 65); cui vanno aggiunti i salvati in extremis e 7 agenti di polizia penitenziaria. Adesso il messaggio sociale è chiaro: che muoiano tutti.
C’è una questione carceri? Se ne costruiscano di nuove. Si assumano un migliaio di agenti per la custodia. Si faccia finta di considerare la tragedia nazionale dei suicidi come se fosse un accidente qualsiasi (dalla Presidente del Consiglio non è giunta una sola parola sul tema nonostante la sua notoria loquacità). Il Ministro Carlo Nordio vola dal Presidente della Repubblica forse perché, per un attimo, ha preso consapevolezza (ma solo per un attimo e non di più) che stavolta è stata fatta grossa.
Il pianeta carceri è stato praticamente sotterrato e montano, purtroppo, rabbia, delusione e rivolte. Nel frattempo, nell’estate più calda di sempre, noi liberi soffochiamo, immaginiamo chi è recluso! É stato detto con il voto parlamentare: che muoiano pure. In molti ad agosto vanno in ferie e con essi, in certi casi, pure la ragione.
PER NON DIMENTICARE TUTTI I DETENUTI, LE DONNE MADRI RECLUSE, I FRAGILI, I TOSSICODIPENDENTI, GLI IMPUTATI IN ATTESA DI GIUDIZIO, I PORTATORI DI PATOLOGIE PSICOFISICHE E PER DARE VOCE A TUTTI COLORO CHE NON POSSONO PIÚ PARLARE!
L’Avvocatura non dimentica e oggi, più che mai, ricorda a tutti il destino di costoro. Abbandonati, scherniti, vilipesi. Non in Ungheria (pare che vada di moda) ma a Roma, laddove si è detto: voi non esistete.
A cura del Direttivo della Camera Penale di Catania “Serafino Famà”