CATANIA – L’eta dell’infanzia e la fase dell’adolescenza sono quei periodi in cui un giovane dovrebbe essere spensierato, frequentare la scuola, uscire con gli amici, studiare e non pensare ai problemi della vita. Per molti è facile pensarlo, quasi scontato.
Ci sono, però, bambini che si ritrovano ad affrontare un dramma ben più grande di loro e di qualsiasi essere umano solo per essere nati nella parte “sfortunata” del mondo.
Strappati dalle loro famiglie, a volte venduti, abbandonano le loro radici per affrontare un viaggio, con la consapevolezza che potrebbero non arrivare alla meta.
È la drammatica storia dei minori non accompagnati (MSNA) che arrivano sul territorio italiano.
Nel 2016 i minori non accompagnati presenti sul suolo italiano era pari a 18.508. Partono dal Gambia, dalla Guinea e dall’Egitto, ma anche da altre zone dell’Africa, sia occidentale che Subsahariana.
La speranza che li spinge a partire e ad abbandonare tutto è quella di un futuro migliore. La maggior parte di loro ha un’età compresa tra i 14 e i 17 anni e, mentre la preoccupazione maggiore di molti loro coetanei italiani è come passere il tempo tra un’uscita con gli amici e un videogioco, loro si preparano ad attraversare un continente, da soli.
I ragazzi arrivati sul nostro territorio, provenienti soprattutto dall’Africa occidentale o dagli Stati subsahriani, scappano dai loro paesi per diversi motivi. A spingerli alla fuga sono le continue guerre civili, la presenza di gruppi armati terroristici, la povertà, i regimi militari, leva obbligatoria e permanente.
Il corridoio più comune è il passaggio dalla Libia, dove sono sottoposti agli stessi soprusi, torture e violenze che spettano agli adulti.
Alle ragazze spetta la sorte peggiore. Individuate dai trafficanti nei loro paesi di origine, vengono attirate con la scusa di una vita migliore, ma una volta partite e giunte sulle nostre coste, sono destinate alle strade. La prostituzione è l'”attività” più comune alla quale sono destinate.
Un’alternativa il nostro Paese ancora la offre: infatti, una volta sbarcati sulle nostre coste, vengono sottoposti alle procedure di prima accoglienza. Il periodo di passaggio nelle strutture di primo livello è breve. A tutelarli è la legge 47/2017, che equipara i diritti dei minori immigrati non accompagnati ai minori italiani ed europei.
Il passo successivo è il trasferimento in strutture di secondo livello, precedentemente chiamati Sprar (Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati), ora Siproimi (Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati). La differenza maggiore tra le due tipologie di sistemi è che nei secondi non è previsto l’accesso ai richiedenti asilo, ma solo a coloro che richiederanno protezione umanitaria e internazionale.
In Sicilia esiste un’alternativa ai Siproimi, rappresentata dalle comunità alloggio, che seguono la normativa della legge regionale 513/2016.
Tanto i Siproimi quanto le comunità alloggio hanno uguale efficienza e forniscono ai giovani migranti gli stessi servizi.
Una volta entrati in queste strutture di secondo livello, differenziate per genere ed età, i ragazzi vengono inseriti in un percorso di integrazione e di inclusione che passa innanzi tutto dalla scolarizzazione. All’interno di questi sistemi sono presenti figure professionali fondamentali, come gli avvocati, i mediatori e gli educatori. Inoltre hanno la possibilità di accedere alle cure mediche del sistema nazionale sanitario.
La nuova normativa, se da un lato vuole rendere più efficiente le procedure di accoglienza e integrazione, dall’altro ha creato un gap che riguarda i richiedenti asilo. Infatti, i soggetti in questione vengono ospitati in un centro di accoglienza di primo livello per un massimo di 180 giorni. Allo scadere di questo periodo, qualora gli venisse negato il permesso di soggiorno, diventerebbero clandestini e rimpatriati. In teoria.
La pratica è ben diversa, perché, affinché si possano effettuare i rimpatri, è necessario stilare degli accordi internazionali con i governi dei Paesi di provenienza dei migranti e, al momento, l’Italia è scesa a patti solo con pochi paesi, tra i quali la Tunisia e la Nigeria. Il problema è che la maggior parte delle volte non esistono dei governi riconosciuti per stilare degli accordi.
La stessa sorte spetta ai più giovani che, una volta compiuti i 18 anni, non possono godere più della protezione che proviene dallo status di minore e quindi rischiano anche loro di diventare clandestini illegali ed essere sottoposti alle procedure di rimpatri.
Sicuramente, in materia di accoglienza e integrazione c’è ancora molto da fare, ma la voglia di portare avanti dei progetti per tutelare soprattutto i minori è tanta. Se ne è discusso al convegno Minori Stranieri Accoglienza e Integrazione, organizzato dal Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza – CNCA, che si è tenuto ieri a Catania.
A confrontarsi sui temi dell’integrazione, dell’accoglienza, della tutela e dell’inclusione di minori immigrati, hanno partecipato magistrati, operatori, assessori e molte altre figure, tutti accomunati dalla voglia di mettere su un sistema sempre più efficiente, che abbia a cuore il futuro di questi giovani.
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