CATANIA – “Le cause principali della nascita di ‘medicina difensiva’ sono gli avvocati: portano quotidianamente dentro le aule dei tribunali chi cerca solo di curare al meglio i propri pazienti”.
È quanto emerge dalle dichiarazioni di Michele La Versa, studente della Scuola di Medicina e Chirurgia dell’Università di Palermo, che insieme con Thomas Piticchio, laureando presso la Scuola di Medicina e Chirurgia dell’Università di Catania, abbiamo intervistato per scavare a fondo sulle origini di questa piaga sociale.
Dopo il quadro tracciato ieri riguardo alle conseguenze del fenomeno dilagante che porta i chirurghi ad evitare le sale operatorie, oggi la nostra attenzione si sposta sulle cause del meccanismo di “autodifesa” da parte della classe medica e sul perché i neo laureati scelgono percorsi di specializzazione che poco hanno a che fare con la pratica clinica.
“Tanti ragazzi rinunciano alla specialità in anestesia e rianimazione, chirurgia o ginecologia – dichiara Thomas Piticchio -. Parliamo di percorsi di specializzazione che sarebbero molto ambiti ma c’è la paura dei contenziosi civili e penali sempre in aumento – continua Piticchio -. Le cause di questo? La mentalità del paziente che è completamente cambiata e l’atteggiamento della società civile sempre pronta a distruggere carriere professionali anche molto lunghe”.
A questo gruppo già denso di fattori, sempre Piticchio, aggiunge quello della crisi economica. “Viviamo in tempi difficili, non escludo che ci sia chi tenta ‘il tutto per tutto’ per guadagnare soldi, invogliato da avvocati che offrono servizi in cambio di retribuzione solo se la causa viene vinta dal loro cliente”.
Ma volendo mettere da parte per un attimo le cause e conseguenze, in sostanza qui la questione è che il malato guarda al suo dottore in modo sempre più sospettoso e a ciò consegue che come dichiara Piticchio: “Al giorno d’oggi appena indossi il camice bianco ed entri in reparto devi fare attenzione anche ai più semplici gesti: non è ammesso alcun errore”.
Ed ecco che il quesito sorge spontaneamente: che apporto possono fornire le Università per restituire fiducia al cittadino – paziente?
“Già durante il primo anno di studi ci confrontiamo con materie che contengono i concetti fondamentali di deontologia – racconta La Versa -. In aggiunta a ciò, diversamente dal passato l’Università non è più un ambiente chiuso. Per esempio noi dell’associazione ‘Vivere Medicina’ organizziamo spesso seminari o tutorati con professionisti che insegnano a dialogare con i pazienti – conclude La Versa -. Per ottenere una formazione più completa bisogna creare una fusione della medicina con le scienze umane”.
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