CATANIA – Mafia e religione, due contesti diversi che però, talvolta, si intrecciano in un aberrante ossimoro. Illegalità, paura della morte e fede sono elementi antropologici e sociologici presenti in ogni cultura, seppure in maniera differente.
José Carlos Gomez Aguiar, antropologo e sociologo, professore all’università di Amsterdam, nonché autore di diverse opere e progetti, ha trascorso parte delle sue vacanze estive a Catania, per raccontare la funzione della religione per la criminalità organizzata dell’America Latina, per scoprirne differenze e analogie con Cosa Nostra.
“La religione, in sé, ha una doppia funzione: dirige l’etica e l’attività umana, definisce il concetto di sommo Bene; conforta l’essere umano nell’abisso dell’esistenza, sopperendo all’angoscia della morte e alla mancanza delle risposte sui dilemmi dell’umanità”, afferma il professore.
Anche la morte, come la religione, assume un valore differente all’interno delle diverse culture. “Se nel nord Europa rappresenta un tabù, in America Latina e in Messico è parte integrante della vita, addirittura uno strumento a servizio dell’uomo. Tale concezione ha origini remote: la colonizzazione europea, infatti, ha distrutto le culture indigene, tentando persino di imporre, con le torture dell’inquisizione, il cattolicesimo di antica formazione. La Chiesa cattolica aveva persino il monopolio su gran parte delle terre coltivabili, tanto ambite dai cittadini. La libertà di culto, poi, ha contribuito alla cristallizzazione di riti ibridi che, ancora oggi, vengono praticati e utilizzati per controllare le masse”.
“Per i criminali dell’America Latina, caratterizzata da un livello di violenza indescrivibile, la religione è addirittura uno strumento di protezione fisica. Il culto della Santa Muerte del Messico rappresenta la possibilità di chiedere e ricevere una morte senza dolore, nonché di legittimare il crimine“, continua Aguiar.
“Riti new age e santificazioni di ‘martiri’ criminali (Santos Malandros), non riconosciute dal cattolicesimo, ma rappresentate anche iconograficamente, fanno da sfondo alle guerre armate tra polizia, governo e gruppi criminali. Nessun vero contrasto alla criminalità organizzata, ma solo una lotta in cui a vincere è il più forte. In questo contesto la religione rappresenta l’unica speranza o l’unica legittimazione per le varie forze che si contrastano”.
Oggi, la religione sembra avere un ruolo differente, rispetto al passato, per Cosa Nostra. I rituali antichi come “la punciuta”, nel corso del quale i mafiosi, con uno spillo, pungevano un dito della loro mano, bagnavano un’immagine religiosa con il proprio sangue e la bruciavano , non sembrano avere più alcun seguito.
“Sul piano antropologico gli esseri umani hanno sempre cercato dei simboli per esprimersi”, afferma l’antropologo. La mafia di una volta si rivolgeva principalmente al popolo e, pertanto, si serviva di usi e costumi del territorio per avvicinarlo. Oggi, in un contesto di laico, l’uso strumentale della religione viene meno.
La Chiesa, però, sembra avere un doppio ruolo di mediazione: deve salvare chi pecca e poi si pente, ma anche proteggere i deboli, le vittime dei reati e i deviati da diverse cause.
Sul piano sociologico la religione può rappresentare, pertanto, una valida alternativa per coloro che, in condizioni di povertà, chiedono aiuto e confidano nella provvidenza. La povertà, infatti, all’interno di uno Stato che non offre le giuste opportunità sociali e lavorative, può creare degli idoli paralleli allo Stato stesso e nell’adesione alla criminalità, con un atteggiamento altrettanto fideistico.
La soluzione alla povertà, però, non può pericolosamente spettare alle politiche sociali attuate dalla “benevolenza dei religiosi”. Dovrebbe invece essere presa in carico da “uno Stato che il compito di proteggere il Bene Comune, annullando la precarietà e garantendo l’occupazione. In mancanza di questo, il concetto di illegalità sarà purtroppo, troppo spesso, collegato al sentimento di rivalsa e di emancipazione sociale“, conclude Aguiar.
Foto di J. C. G. Aguiar