Mafia 2.0, il suo “humus” sociologico e il (non) libero arbitrio

Mafia 2.0, il suo “humus” sociologico e il (non) libero arbitrio

CATANIA – Dopo 26 anni dalle stragi mafiose di Falcone e Borsellino, tragedie che hanno provato come Cosa Nostra non sia solo un problema siciliano, bensì un problema nazionale, ci si chiede come poter studiare il fenomeno mafioso e come poterlo combattere.

Il magistrato Sebastiano Ardita, oggi membro del Consiglio Superiore della Magistratura, afferma che, per poter meglio comprendere Cosa Nostra, la sua evoluzione nella storia, nonché i modi per poterla contrastare, “è necessario uno studio sociologico e antropologico del fenomeno, non tanto l’approccio di tipo etico che spesso ha alimentato la falsa antimafia”.

“La mafia 2.0 è la mafia che è tornata a nascondersi in modo strategico, rendendo difficili persino le indagini. I mafiosi impegnati in ‘attività militare’ sono sempre meno, c’è meno violenza sulle strade, perché la violenza risulta riconoscibile e conduce al carcere. Cosa Nostra, oggi, si nutre dei rapporti con la politica. I livelli istituzionali e il mondo degli affari sono in grado di realizzare, spesso, gli interessi diretti della criminalità organizzata”.

“I boss invidiano i colleghi che sono riusciti a entrare nel business delle aziende, nei rapporti con l’amministrazione, magari con un prestanome. L’obiettivo è divenire titolari di imprese per poter trafficare denaro in cambio di favori, attraverso la sovrafatturazione di servizi più o meno esistenti. I boss di oggi preferiscono questi nuovi modelli di guadagno, che spesso passano attraverso flussi in apparenza regolari, anziché le vecchie estorsioni”, continua il magistrato.

Più lobby e meno colpi d’arma da fuoco per la mafia, dunque, che si serve di quello che Ardita definisce “humus” che alimenta la mafia sotto il profilo sociologico. Si tratta del “retroterra paternalistico, ovvero l’omertà, che segue una logica di riconoscenza nei confronti di chi comanda nelle nuove mafie, così come comandava nelle vecchie”.

L’atteggiamento fideistico da parte di coloro che, direttamente o indirettamente, favoriscono la mafia dei nostri giorni, deriva da un condizionamento sociale molto forte, secondo il nuovo membro del CSM: “La dimensione sociale che favorisce l’espansione della mafia deve essere immaginata come una composizione chimica complessa, i cui elementi si trovano nell’aria che normalmente si respira e anche nelle famiglie più normali”.



Ecco che l’articolo 3 della Costituzione Italiana risulta di fondamentale importanza per il giurista:Una legge uguale per tutti è un’ingiustizia. Specie quando ci sarebbe bisogno di favorire, con interventi di Stato sociale, i soggetti più deboli. Spesso i piccoli reati vengono commessi da chi, in un contesto di illegalità generalizzata, ha radicate dentro di sé delle assurde convinzioni, percepite come normali, che partono dalla diffidenza verso uno Stato assente. Si tratta di un fenomeno vizioso che porta le ‘vittime del disagio sociale a divenire autori di reato'”, dichiara il magistrato.

Queste affermazioni lasciano trapelare anche i sentimenti umani di chi forse, troppo spesso, si è trovato in imbarazzo nel difendere la dignità umana, quella dignità che non sta mai da una parte sola. Ardita, però, riferendosi alla questione penitenziaria, tiene a precisare che anche l’intervento di rieducazione carceraria deve essere ispirato dalla necessità di colmare quelle differenze. Tuttavia “chi sbaglia deve pagare. Bisogna dare nuova opportunità a chi da libero non l’ha avuta, ma potrà fruirne solo chi intenda davvero reinseririsi, non chi voglia semplicemente trovare degli escamotage per evitare la pena”.

“Il libero arbitrio da cui dipendono le scelte degli uomini a volte deve fare i conti con la storia personale e sociale…”, pari opportunità e interventismo sociale, sembrano i pilastri assiologici di Ardita. “Mi sono trovato a leggere capi d’imputazione gravissimi, racconti raccapriccianti – confessa – ma, interrogato l’autore del reato, dipinto come un mostro, qualche volta mi sono reso conto che era solo un disperato, una persona vissuta in condizione tale di disagio, da alimentare il pericolo di devianza criminale”. 

Il procuratore consiglia, pertanto, a chiunque volesse intraprendere la sua carriera, di avere un approccio consapevole e responsabile, senza pregiudizi di natura etica: “Perché ogni uomo è un mondo e la società non è stata equa con tutti. Ci vuole entusiasmo e molta curiosità, senza, però, avere fretta di giungere a delle conclusioni, rischiando di incorrere in gravi errori. Io consiglio sempre il sano equilibrio. Anche la comunicazione, poi, è importante, al fine di informare e sensibilizzare l’opinione pubblica. Mi sono accorto come siano importantissimi grandi processi, ma non bisogna trascurare l’effetto dei libri”. 

Fonte foto Facebook