L’incidente sul lavoro a San Cristoforo, udienza sulla morte di Orazio Savoca. Escussi due dei cinque imputati

L’incidente sul lavoro a San Cristoforo, udienza sulla morte di Orazio Savoca. Escussi due dei cinque imputati

CATANIA – Si è svolta ieri l’udienza del processo sulla morte di Orazio Savoca nel Tribunale di Catania, in cui sono stati escussi Marta Bosco e Bruno Weiro Silvano Borghi, imputati insieme ad altri tre – Fracesco Buscema, Piera Ninfa e Giorgio Gugliotta – per quanto accaduto al giovane catanese, all’epoca dei fatti 26enne appena, e accusati di omicidio colposo.

C’è da dire che a Bruno Weiro Silvano Borghi e Piera Ninfa, entrambi datori di lavoro e amministratori dell’impresa appaltatrice “Gema”, da cui l’operaio dipendeva, sono contestate una serie di violazioni riguardo la sicurezza sul lavoro.

È proprio sul posto dove stava lavorando che Orazio, quel maledetto l’8 agosto 2012, è deceduto. Savoca si sarebbe trovato su un ponteggio “che era più che altro un groviglio di vecchia ferraglia e legname marcia messa insieme”; furono queste le parole del segretario generale della Fillea, Giovanni Pistorio e del segretario confederale Cgil, Claudio Longo, rilasciate in una nota stampa quattro anni dopo la tragedia.

Il 26enne si sarebbe trovato nel quartiere San Cristoforo di Catania, esattamente su un ponteggio, appunto, per rifare la facciata di uno stabile di quattro piani sito tra via Tripoli e via Fratelli D’Antona, quando sarebbe “volato” per dieci metri.

Ieri la parola è toccata alla difesa. Secondo quanto riportato dai colleghi di La Sicilia, Marta Bosco avrebbe dichiarato di non conoscere gli operai (ricordiamo che quest’ultima imputata, insieme a Francesco Buscema, era la proprietaria e la committente dei lavori di demolizione e ricostruzione dell’immobile in questione) e che i lavori erano stati affidati alla ditta appaltatrice.

L’altro imputato, invece, Bruno Weiro Silvano Borghi, ha dichiarato al Collegio di aver appreso della morte di Orazio telefonicamente la mattina dell’incidente e che non avrebbe mai incaricato nessuno dei lavori in quei giorni.

La tragedia resta ancora avvolta nel “mistero”. Tanti i dubbi e i punti di domanda. L’unica certezza è che da 7 anni la moglie di Orazio e i suoi due bambini, non lo vedono più ritornare a casa. Il dolore, della madre e dei fratelli, e di tutti quelli che conoscevano quel ragazzo sempre sorridente, lavoratore, che ha perso la vita “per portare a casa un pezzo di pane”, la fa da padrone, ancora oggi.

Giustizia, è l’unica cosa che chiedono.