Cronaca

L’apocalisse in Val di Noto, il terremoto dell’11 gennaio 1693 che cambiò il volto della Sicilia

CATANIA – In contrada Terravecchia, a pochi chilometri a nord di Grammichele (Catania), sorgono ancor oggi i resti della battaglia persa dall’uomo con la natura.

Il centro abitato di Occhiolà, edificato su una collina dei monti Erei, venne completamente cancellato dal terribile terremoto del Val di Noto dell’11 gennaio 1693, probabilmente il fenomeno sismico più devastante e ampio mai verificatosi nella storia della nostra isola. Una catastrofica ondata di morte, distruzione e devastazione che segnò perennemente il volto della Sicilia centro-orientale.

Su quei ruderi, adesso inseriti all’interno parco archeologico comunale di Occhiolà, è possibile leggere gli effetti di quell’evento che costrinse i pochi sopravvissuti di quel piccolo borgo medioevale a fuggire e stanziarsi in altri territori del Calatino.

Le prime avvisaglie del cataclisma si manifestarono già la sera del 9 gennaio, quando una prima forte scossa fece tremare le province di Catania e Siracusa. In numerosi Comuni, tra cui lo stesso capoluogo etneo e le località aretusee di Augusta, Melilli, Sortino e Floridia, si registrarono lesioni agli edifici, crolli e vittime.

La eco del terremoto si diffuse, senza particolari conseguenze, fino alle province limitrofe e all’isola di Malta. Proprio la cosiddetta “Scarpata di Malta” potrebbe essere stata, secondo gli esperti, la genitrice dell’evento sismico in questi e di tanti altri movimenti sotterranei registrati nei secoli nel Mediterraneo. Gli abitanti dell’epoca, però, non avrebbero mai potuto immaginare cosa sarebbe potuto accadere nel giro delle 48 ore successive.

Nuove scosse si verificarono la mattina dell’11 gennaio, con la più potente che si manifestò alle 13,30. L’intero Val di Noto, la terza delle tre province amministrative che, insieme al Val Demone e al Val di Mazara ripartivano la Sicilia sotto la monarchia di Carlo II, sussultò a causa della scossa distruttiva di magnitudo 7.4 della scala Richter registrata nel mar Ionio.

Il terremoto colpì anche i paesi etnei, le città di Catania e Ragusa che persero la metà della popolazione, i centri di Siracusa, Lentini e Modica e altre località dell’area. Case e palazzi crollarono, tantissimi edifici storici vennero gravemente danneggiati e la terra si squarciò generando fratture, frane e smottamenti.

Il quadro venne ulteriormente aggravato dal maremoto che si abbatté da lì a poco sulle coste della Sicilia orientale, violentando le città di Catania, Augusta e Siracusa. I giorni successivi al “Big One” siciliano furono apocalittici per l’intera economia dell’isola, gravemente minacciata e sopraffatta.

Dalla ricostruzione delle città pugnalate dalla furia del sisma, tuttavia, emerse l’esuberanza del tardo barocco siciliano. Nei Comuni appartenenti a partire dal 2002 alla rete della World Heritage List dell’Unesco si registrano infatti gli esempi più elevati dell’architettura del periodo successivo al terremoto. Probabilmente, senza l’evento funesto dell’11 gennaio 1693, la faccia centro-orientale dell’isola sarebbe potuta essere decisamente diversa da quella ammirata ai giorni nostri.

Fonte immagine: Wikipedia.org

Salvatore Rocca

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