La “trasformazione” adolescenziale, ansie e sconvolgimenti: quale deve essere il ruolo degli educatori? – LO SPECIALISTA

La “trasformazione” adolescenziale, ansie e sconvolgimenti: quale deve essere il ruolo degli educatori? – LO SPECIALISTA

CATANIA – L’adolescenza rappresenta un periodo particolarmente delicato nella vita di un essere umano. Dal latino adolescentia, derivato dal verbo adolescere, “crescere“, costituisce, per l’individuo,”l’età di mezzo” tra lo stato infantile e quello adulto.

Quanti sforzi psicologici pazzi, disperati e azzardati per affrontare le tante novità in corso, riguardanti corpo, pensieri, passioni, istinti! Una vera e propria rivoluzione interiore che si tramuta in instabilità e incoerenza, stati di euforia e di paura: sensazioni ingarbugliate che portano a posizioni estreme.

La “normalità” nell’adolescente è praticamente uno stato di disarmonia, la quale non è sempre esplicitata e visibile, ma, il più delle volte, è espressa con atteggiamenti strambi ed eclatanti, che i genitori tendono a enfatizzare o banalizzare, a seconda, magari, del loro vissuto.

Sono sempre più frequenti, ahimè, i casi di cronaca i cui si trovano giovanissimi individui, protagonisti di tragedie: uno tra tanti, quello accaduto il 26 novembre scorso, quando, nel capoluogo etneo, un tredicenne è precipitato dal quarto piano di uno stabile, togliendosi così la vita, a causa, probabilmente, dei brutti voti presi a scuola.

La questione – afferma la dott.ssa Valentina La Rosa, psicoterapeuta a Catania – si inserisce nell’ambito di un discorso sociale che spinge i giovanissimi alla competizione sfrenata e a un ideale di successo, che, se non viene raggiunto, equivale alla perdita di autostima. Il brutto voto a scuola diventa, così, un giudizio di valore sulla persona, che, nei ragazzi particolarmente fragili o che hanno dei disagi latenti che non si sono ancora manifestati in maniera eclatante, possono portare a gesti estremi.

Il leit motiv della fase adolescenziale è il concetto di “trasformazione“. Esistono, infatti, fattori di ordine psicosociale, come il non poter controllare il cambiamento, che causano l’emergere di una moltitudine di ansie legate al proprio aspetto, alla percezione che si ha di se stessi e quella che gli altri hanno. Tutto ruota intorno a un‘infinità di preoccupazioni, talvolta di paure, come anche a delle esplosioni emozionali che non tutti riescono a gestire e a percepire in modo naturale.

Ciò può portare a vivere una situazione di disagio; è importante, pertanto, la prevenzione, che deve essere caratterizzata da interventi multidisciplinari, che interessino, quindi, diverse aree della vita del ragazzo.

La famiglia, le agenzie educative in genere, come può essere la scuola, la parrocchia, o altro, devono prestare attenzione ai segnali che l’adolescente potrebbe inviare, – continua la psicoterapeuta – quali isolamento, aggressività, cercando, però, di non patologizzare in assoluto; egli è chiamato a costruire una propria identità autonoma rispetto a quella degli adulti, quindi certi fenomeni si possono manifestare in forma fisiologica.

“Se il ragazzo si chiude, non frequenta più i coetanei, non vuole andare più a scuola, non vuole uscire, ha un crollo del rendimento scolastico, subisce, cioè, un cambiamento radicale della personalità – dice la dottoressa La Rosa – è bene consultare uno specialista, senza alcun pregiudizio. Di fondamentale importanza è che i genitori si pongano nelle condizione di ascolto del figlio, supportandolo nel disagio che sta vivendo e si confrontino con gli educatoti scolastici allo scopo di individuare, se esistono, le cause delle problematiche comportamentali”.

“In Italia – continua -, siamo molto indietro su questo tema, ma in altri Paesi lo psicologo scolastico è una realtà consolidata, che rende meno traumatico l’approccio con lo specialista, il quale è inserito nel contesto che il ragazzo frequenta normalmente; incentivare e promuovere una figura specialistica di questo tipo nell’équipe scolastica sarebbe fondamentale per intercettare precocemente queste situazioni di disagio, che potrebbero evolversi in gesti estremi”.

“I genitori – conclude la psicologa – dovrebbero trasmettere ai figli il valore educativo che può avere il fallimento, l’errore, lo sbaglio, l’insuccesso: esso non va visto come un giudizio negativo sulla propria persona, ma come un momento di confronto con se stessi, per migliorare. Questa è la chiave giusta con cui affrontarlo”.

Fonte immagine – focus.it