La rivolta dei 2 centesimi: come una legge “marginale” ha tirato fuori il peggio di noi

La rivolta dei 2 centesimi: come una legge “marginale” ha tirato fuori il peggio di noi

CATANIA – Luce, gas, autostrade. Gennaio ha portato con sé un carico di aumenti. Passati quasi in sordina, perché a catalizzare le proteste degli italiani è stata l’introduzione dei nuovi sacchetti biodegradabili a pagamento.

Sospetti di complotto e tasse occulte, fake news. Tutti elementi che hanno alimentato la “rivolta”. Cerchiamo, quindi, di analizzare i fatti e fare chiarezza.

La tanto odiata legge entrata in vigore da inizio anno è l’articolo 9-bis della legge di conversione n. 123 del 3 agosto 2017, “Disposizioni urgenti per la crescita economica del Mezzogiorno. Il decreto stabilisce che i supermercati e le altre attività commerciali che utilizzano i sacchetti di plastica non potranno continuare a usare le normali buste, tra le principali responsabili, tra l’altro, dell’inquinamento dei mari. I sacchetti dovranno essere sostituti con altri biodegradabili che non potranno essere distribuiti gratuitamente: vale a dire che, come già accade per le normali buste biodegradabili per la spesa, i clienti dovranno pagare per i nuovi sacchetti. Il prezzo di ogni singola unità deve essere esposto vicino alla merce da imbustare e figurare tra le voci dello scontrino. Il costo di ogni sacchetto si aggira tra uno e tre centesimi, fino ad un massimo di dieci.

La misura introdotta, secondo le stime dell’Osservatorio di Assobioplastiche, dovrebbe far spendere in media agli italiani fra 4,17 e 12,51 euro in più all’anno. Le buste, però, sono utilizzabili per la raccolta dei rifiuti organici, quindi, la metà del loro costo potrà essere detratto dalla spesa complessiva. Per chi non utilizza buste idonee sono previste multe dai 2.500 fino ai 25mila euro.

Tanto è bastato a far gridare allo scandalo e a “denunciare” un presunto complotto architettato niente poco di meno che dall’ex premier Matteo Renzi: tutto a beneficio di “una sua amica”, accusata di essere l’unica produttrice delle buste imposte e, quindi, la reale beneficiaria dell’introduzione della legge. La bufala è circolata rapidamente sui social grazie ad un messaggio creato ad hoc: superficiale, poco approfondito e pieno di strafalcioni grammaticali. I fatti, però, raccontano altro.

L’”amica” di Renzi chiamata in causa dai complottisti dell’ultima ora è Catia Bastioli, amministratore delegato di Novamont, azienda fondata nel 1990, che nel 2016 ha fatturato 170 milioni di euro circa, guadagnando il titolo di leader europeo nella produzione di sacchetti di plastica biodegradabili, battendo la concorrenza di colossi come Basf. La Novamont, che realizza il “Mater-Bi”, la materia prima con la quale sono realizzate le nuove buste, in Italia opera nel settore insieme con altre 150 aziende, quindi, non è monopolista. Bastioli è considerata vicina a Renzi perché nel 2001 partecipò come oratrice alla seconda edizione della Leopolda, e perché nel 2014, quando al governo c’era l’ex premier, divenne presidente di Terna, società a controllo pubblico per la trasmissione dell’energia elettrica.

L’ad si è difesa dalle accuse sostenendo che si tratti di una tesi oltraggiosa e vergognosa, utile solo a fare carne da macello per finalità elettorali. Bastioli sottolinea che i sacchetti si pagavano anche prima, solo che i costi non venivano direttamente evidenziati ai consumatori. Il prezzo dichiarato, sostiene, serve a convincere i cittadini a utilizzare meno buste, riducendone così l’impatto sull’ambiente.

La legge che impone il pagamento dei nuovi shopper riprende la direttiva europea 270 del 2015 ed evita all’Italia una procedura di infrazione avviata dall’UE nel gennaio 2017 per il mancato recepimento delle nuove misure sull’uso dei sacchetti leggeri. Ciò vuol dire che qualsiasi Parlamento di qualsiasi Stato europeo è chiamato a elaborare una legge simile, indipendentemente dai colori politici e dalla presenza di un premier piuttosto che un altro.

La direttiva europea, che intende ridurre la dispersione di plastica nell’ambiente, tutelando la biodiversità e la salute di tutti, però, non impone l’obbligo di far pagare ai consumatori i sacchetti. Il Parlamento italiano ha, invece, scelto la formula del “far pagare per disincentivare”.

L’errore è stato non prevedere un’alternativa più sostenibile ed economica, come per esempio autorizzare l’uso di sporte a rete, riutilizzabili, per l’acquisto di ortofrutta. O lasciare liberi i commercianti di farsi carico del prezzo delle buste.

Il ministero della Salute, dopo le polemiche dei giorni scorsi, ha trovato una soluzione che agli occhi di molti non appare tale: sarà possibile portare buste biodegradabili da casa, a patto che siano nuove e non vengano riutilizzate.

E se il provvedimento, invece di minimizzare il consumo di plastica, lo aumentasse? I consumatori, infatti, potrebbero decidere di abbandonare i prodotti sfusi per privilegiare alimenti già confezionati, rischiando così di inquinare di più. Come in un certo senso, a voler essere estremamente critici, stanno già facendo coloro che, in segno di “resistenza”, stanno cercando di sottrarsi all’imposta attaccando su ogni singolo frutto od ortaggio l’apposito scontrino. Non stanno forse consumando più carta di prima? Oltre al danno la beffa per questi nuovi “partigiani” che, non solo perdono inutilmente tempo, ma presentando più adesivi con codici a barre si ritrovano a dover pagare più sacchetti di quanti ne avrebbero potuti adoperare.

Fonte foto: investireoggi.it