CATANIA – Il suono dell’arpa come una carezza invisibile che dona conforto a chi si avvia verso i titoli di coda della propria vita. Un’esistenza spezzata, interrotta. Come un film lasciato a metà, una platea abbandonata prima della fine dello spettacolo, una clessidra capovolta prima che l’ultimo granello di sabbia tocchi il fondo. Ed è proprio da lì, dal punto più basso, che Loredana Vasta – musicoterapista in servizio all’Hospice del Garibaldi Nesima di Catania – intende far riemergere la speranza di chi si prepara a partire per l’ultimo viaggio.
“Generalmente mi piace immaginare dei viaggi sonori”, racconta Loredana ai microfoni di NewSicilia. L’obiettivo è “aggiungere qualità al percorso del fine vita”. Un fine vita dignitoso che i professionisti dell’Hospice si impegnano a garantire attraverso le cure palliative che non guariscono, ma consentono di prendersi cura. Così come la musica di Loredana che non cura, ma lenisce l’anima. Non cancella il dolore, ma lo trasforma. In suoni, vibrazioni, onde sonore. Una lingua universale, capace di sostituire parole e gesti. Di restituire la serenità persa, di offrire un momento di riconciliazione con se stessi. Ricucire le ferite, ripercorrere le cicatrici. E, prima o poi, trovarne un senso.
“La musicoterapia – ha spiegato, facendo riferimento alla frequenza con cui lavora al fianco delle persone ricoverate – viene praticata circa 3-4 volte a settimana. Se poi ci sono dei pazienti in una fase ancora più terminale, io cerco di venire più volte, anche tutti i giorni“.
Una pratica utile a livello psicologico, ma non solo. Numerosi i benefici fisiologici legati alla musicoterapia, a partire dalla regolazione del battito cardiaco e del respiro, per arrivare a una minore percezione del dolore, dovuto al rilassamento muscolare favorito dall’ascolto dei suoni e delle vibrazioni.
La musicoterapista ha poi sottolineato l’importanza del lavoro di equipe: “Questo è un lavoro che io svolgo con le psicologhe perché quando si vanno ad aprire finestre emotive di quella portata è chiaro che bisogna lavorare in equipe. La musica è uno strumento molto potente: riesce a smuovere delle emozioni molto forti”.
Fondamentale dunque il ruolo degli psicologi nel momento in cui, prosegue Loredana, “andiamo a lavorare sulla relazione col passato, sui blocchi emotivi, su quello che porta poi il paziente all’accettazione della diagnosi e della prognosi, e quindi del fine vita. Si aiuta il paziente a risolvere delle cose del passato, delle situazioni relazionali con i familiari. Attraverso la musica tante volte siamo riusciti ad aprire queste finestre e l’equipe poi è riuscita a gestire in modo dignitoso anche questo tipo di percorso”.
Un percorso arduo, in continua salita, che però Loredana riesce a rendere degno di essere vissuto, facendo leva su un’altalena di ricordi, emozioni e sensazioni, da rievocare e rivivere finché ce n’è occasione. Finché c’è sabbia nella clessidra. Finché c’è vita.
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