CATANIA – L’indagine di oggi – partita dal “cappotto di legno” pronto per Pietro Gagliano – ha rivelato anche tentativi di riorganizzazione dei gruppi mafiosi Santapaola-Ercolano. Così è emersa una netta distinzione tra la “vecchia mafia” e la “mafia giovane”, quest’ultima più spregiudicata e visibile sui social media.
I detenuti continuano a esercitare il loro controllo sul gruppo mafioso, comunicando con i sodali liberi tramite dispositivi illecitamente introdotti in carcere.
Tra le figure di maggior rilievo, spicca Salvatore Battaglia, storico leader del gruppo di Villaggio Sant’Agata (assieme al fratello Santo) e protagonista di una cruenta stagione di violenze negli anni ’90. Già condannato definitivamente per associazione mafiosa e omicidio, Battaglia continua a essere un punto di riferimento per il sodalizio criminale, riuscendo a impartire direttive e gestire le dinamiche associative anche mentre è detenuto. Durante la sua detenzione, avrebbe ricevuto costantemente informazioni dai membri liberi del gruppo, permettendogli di rimanere aggiornato e di impartire istruzioni su incontri con affiliati, gestione dei proventi illeciti e comportamenti da adottare.
Un’altra figura di spicco è Salvatore Gurrieri, noto come “Turi u Puffu“, esponente della “vecchia generazione” di affiliati. La sua detenzione in un istituto penitenziario del Nord Italia, assieme ad altri affiliati tra cui un vertice della mafia, gli ha conferito un ruolo cruciale: ricevere e trasmettere informazioni tra i membri liberi e i detenuti, oltre a richiedere pagamenti per il mantenimento dei sodali in carcere.
L’indagine ha dimostrato l’indissolubilità del legame tra i membri detenuti e l’associazione mafiosa. I sodali in carcere erano in grado di rimanere aggiornati sulle dinamiche mafiose esterne e di impartire consigli o direttive, grazie alla loro esperienza mafiosa. Allo stesso tempo, è stato accertato che l’associazione mafiosa continuava a versare regolarmente somme di denaro ai detenuti, il cosiddetto “stipendio“. Queste somme, provenienti dagli affari illeciti del gruppo, erano considerate costi fissi e indispensabili, confermando e mantenendo il vincolo di appartenenza dei detenuti all’organizzazione.
Un ulteriore elemento significativo emerso dalle indagini è la presenza di nuove leve di giovani affiliati pronti a sostenere i membri più anziani nella gestione degli affari illeciti, con particolare attenzione al traffico di stupefacenti. Tra questi, spicca Giuseppe Pistone, un giovane determinato a scalare rapidamente i ranghi della criminalità organizzata etnea.
Pistone ha iniziato la sua carriera criminale come autista di Andrea Nizza, leader dell’omonimo gruppo mafioso, e ha successivamente assunto il ruolo di responsabile del gruppo Nizza di Librino. Dopo l’arresto di Andrea Nizza, Pistone si è concentrato principalmente sul traffico di droga per conto del gruppo, con l’intento di ristabilire la sua influenza nonostante la perdita della forza militare di un tempo.
Le indagini hanno rivelato che Pistone non era un semplice spacciatore, ma un organizzatore capace, che gestiva una “piazza volante” di spaccio. L’operazione si basava su un’utenza telefonica, contattata da numerosi acquirenti tramite app di messaggistica istantanea come Telegram e WhatsApp, con un servizio di consegna della droga gestito da personale specificamente incaricato.
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