CATANIA – Si riaccendono i riflettori sulla situazione sicurezza e incidenti sul lavoro con la Siap Polizia Catania che ha voluto dire la propria con una lettera.
La situazione insicurezza sul lavoro
“In questo paese gli incidenti sul lavoro, seppur fatti tragici e inauditi per un paese civile, nascondono in parte la situazione di insicurezza generale nel mondo del lavoro. Siamo consapevoli – scrivono nella nota- che chi muore sul luogo di lavoro per incidente è spesso vittima di un diffuso sistema di non osservanza delle norme da parte dei datori di lavoro“.
E continuano: “Diverso dovrebbe essere il pubblico impiego, ma anche quest’ultimo è attanagliato da difficoltà a causa dei troppi tagli lineari subiti e scarsa preparazione dei c.d. “manager”, spesso soggetti protetti non solo dalle norme ma da un ampia platea politica istituzionale. In questo paese avvengono migliaia di infortuni sul lavoro spesso sommersi come lo sono centinaia di lavoratori invisibili e molte volte, il logoramento dettato da 40 anni di lavoro non è riconosciuto in tutto il mondo del lavoro“.
“Un riconoscimento del lavoro svolto“
“Il Siap da anni si batte per ottenere un riconoscimento del lavoro svolto dai poliziotti – spiegano – in merito alla sicurezza individuale e collettiva, ma è anche vero che non si vuole riconoscere l’atipicità di questa attività lavorativa, che ha avuto mutamenti importanti in conseguenza alle richieste della società. La prevenzione del rischio per il poliziotto richiede l’esborso di troppo denaro pubblico, il coinvolgimento di tanti attori istituzionali e di una classe dirigente preparata, oltre alle norme di tutela che ad oggi non sono adeguate (protocolli operativi, strumenti di controllo o norme restrittive)“.
E poi: “Le norme per riconoscere al lavoratore di polizia il logorio del lavoro, delle mansioni e soprattutto dello stress psicologico, non è di fatto applicata, è oltre ad essere inadatta alla specificità di questo mestiere, si scontra con un sistema di vigilanza e controllo che di fatto è autogestito ( il controllato è il controllore sono gli stessi soggetti)”.
E ancora: “Infatti, il lavoratore della Polizia di Stato non ha nessuna di quelle garanzie che lo Stato offre al mondo del lavoro, poiché non esistono valutazioni del rischio per le attività di polizia ( troppi e facili le aggressioni) che sono sempre dettate da emergenze o esigenze di sicurezza pubblica ( controlli immigrazione o gestione dell’Ordine pubblico ) e ultimamente aggravate dalla mancanza di personale e mezzi o degli effetti di norme sempre più “immuni” verso l’aggressore“.
Il sostegno psicologico assente
“Il Sindacato ha posto bene l’accento alla mancanza di risorse umane e dei sistemi di controllo durante gli incontri con il Governo- scrivono nella nota – e certamente nell’attesa, ormai lunga un ventennio, non si possono diminuire le attività di polizia a garanzia del cittadino e dell’interesse pubblico. L’altra faccia della medaglia che noi riteniamo più grave, è il non riconoscimento del lavoro in termini di esposizione al rischio che per un poliziotto non è adeguatamente valutato, ma il rischio spesso viene argomentato come effetto collaterale al lavoro svolto“.
Spiegano poi: “Negli anni di servizio accumulati, tra intemperie, strumentazioni o dotazioni non sempre efficienti, senza metter nel conto gli uffici e gli ambienti in cui si svolge l’attività lavorativa spesso malsani e inadatti, non sono riconosciute le malattie professionali né il sistema prevede un sostegno psicologico a causa di traumi derivanti i servizi“.
I rischi per la salute
“A questo concorre l’ambiente o le regole che in fase operativa non sono garantite al poliziotto ( c.d. protocolli operativi) infatti l’operatore – scrivono – è spesso traumatizzato da fatti che hanno determinato un suo comportamento a favore della collettività e per ordine ricevuto ( la colpa è del poliziotto l’atto di servizio comandato e in quest’ultimo ricade il peso mediatico o politico conseguente). In poche parole, un poliziotto non ha riconosciuto nessuna esposizione in termini di rischio per la salute in generale“.
E continuano: “In questi casi egli dovrà comunque pagare le spese mediche in attesa che gli ( se) venga riconosciuta la malattia se o non per fatti di servizio ( attese di oltre sette anni), più frequente è il finire alla gogna mediatica per fatti diretti o indiretti senza che egli venga adeguatamente protetto. Una situazione che non solo viola le leggi sulla sicurezza dei lavoratori ma non certifica nessuna malattia derivante da esposizioni ai servizi operativi“.
Hanno concluso così: “Ciò è determinato spesso dalle catene di comando che nelle priorità antepongono alle carenze strutturali, la salute dei dipendenti e l’esposizione al rischio correlato da lavoro, oltre alla mancata vigilanza di enti terzi, sull’osservanza delle norme da parte del datore di lavoro o degli organi di controllo“.