Il boss “maturo”: Don Musumeci, dagli omicidi in autogrill ai libri. LA STORIA

Il boss “maturo”: Don Musumeci, dagli omicidi in autogrill ai libri. LA STORIA

ACI SANT’ANTONIO – Un racconto controverso, che non si sente tutti i giorni. Una storia che parte da lontano, da più di due decenni fa, e che si protrae tutt’oggi, fino al 9999. O almeno, così gli è stato comunicato.

Il 41 bis è oggetto odierno di discussione, visto che, come illustravamo ieri, la nuova lista “Potere al popolo” vede nel suo programma l’abolizione sia dell’isolamento di questo genere di tortura e sia dell’ergastolo: Carmelo Musumeci è uno dei sostenitori, ma da anni.

Chi è Carmelo Musumeci? Perché ha una storia diversa dalle altre? Si tratta di un boss mafioso, nato ad Aci Sant’Antonio, nel Catanese, condannato all’ergastolo ostativo (che nega tutti i possibili privilegi di un detenuto, come i permessi speciali) per alcuni omicidi commessi: era considerato il capo della malavita della Versilia, in Emilia-Romagna, protagonista della sanguinosa lotta contro il clan Tancredi e si trova in carcere dal 1991. Il capo d’accusa è l’omicidio di Alessio Gozzani, ex portiere della Carrarese, in un autogrill.

Ventisette anni dietro le sbarre, lunghi anni che lo hanno fatto maturare e crescere.

Entrando in cella con la seconda elementare, e il conseguente abbandono degli studi, dal 2005 inizia a “mettere la testa a posto” prendendo tre lauree: giurisprudenza, diritto penitenziario e filosofia, quest’ultima due anni fa. Scrive libri, ne pubblica sette, tutti concentrati sulla tematica dell’ergastolo, con storie vere o romanzate di detenuti ergastolani. Musumeci è stato condannato anche al 41 bis, ma, dopo quindici anni di pena restrittiva, ha iniziato a vedere nuovamente la luce e ha trovato il suo piccolo spazio nel mondo: dal carcere di Padova controlla il suo blog, seguito per le tematiche trattate.

L’istituzione del 41 bis, secondo lui, non avrebbe fatto altro che aumentare l’odio verso lo Stato Italiano, accrescendo anche il tasso mafioso: “una volta isolati, anche l’uomo più colpevole del mondo si sente innocente. Non ha possibilità di imparare dai propri errori” scrive il boss nella sua lettera, pubblicata nel blog.

Il personaggio di Musumeci è controverso, perché non si vede tutti i giorni un boss con una formazione da autodidatta, tre lauree, numerose petizioni per l’abolizione dell’ergastolo, pubblicazione di libri, sito web apprezzato: e pensare che a far scattare la sua ira contro il mondo, come l’ha definita lui in un racconto al maresciallo Sabatino, fu un prete, che lo trovò spaesato in una campagna da due giorni. Era ancora piccolo (10 anni), “mi chiuse in una stanza al buio senz’acqua e senza mangiare. Mi ricordo ancora adesso e provo la stessa ira di allora. Il prete era alto e grosso come una montagna, era vestito tutto di nero con un grosso bastone in mano e mi disse: – Bastardo volevi scappare? Dopo questa lezione non scapperai più. E mi diede una bastonata in testa seguito da un numero infinito di calci appena caddi a terra”.

Iniziò così il suo percorso, odiando il mondo e cercando un modo per farsi rispettare, puntualmente arrivato con la famosa bisca di Massa, dove fece una rapina. Divenne poi socio all’età di sedici anni.

Nel 2014, Musumeci scrive al Mattino di Padova per denunciare un caso di burocrazia informativa: sul suo certificato di detenzione, la data di fine pena che spicca è proprio 9999. Una provocazione che indica la sua morte all’interno del carcere. “Credo che una pena che duri migliaia di anni – scrive il boss mafioso – oltre che inutile e crudele sia anche stupida. Eppure la nostra Costituzione prevede che la pena abbia solo uno scopo e una funzione, che è quella rieducativa. Non credo che una pena che duri migliaia di anni riuscirà mai a rieducare il mio cuore e la mia anima, ma spero che ci riesca con il mio cadavere”.

Si sveglia all’alba, a volte fa una passeggiata per prendere una boccata d’aria, ma preferisce rimanere in cella. Poi, aspetta le numerose lettere che gli arrivano e inizia a leggerle, fino a quando, la sera, si cucina qualcosa e fa avanti e indietro lungo la cella per aiutare il processo di digestione: “Tre passi avanti, tre passi indietro – racconta in uno speciale del Tg1 -. Quando sono stanco, mi sdraio e leggo molto, quando in televisione non c’è nulla di interessante. Poi, mi addormento: non posso fare altro, gli ergastolani ostativi non hanno speranze”.

Si definisce “uomo ombra”, perché è come se il boss fosse scomparso dalla società, ma in realtà è più vivo che mai. All’età di 63 anni, lavora in una casa famiglia della comunità di don Benzi.

Il rimorso, forse, la lotta per abbattere le barriere dell’ergastolo: Musumeci resiste ancora, e prova quasi un senso di felicità nel sentirsi vivo, nel raccontare ciò che gli succede tramite lettere, poesie, brevi estratti di un suo personale diario: un modo per non estraniarsi dal mondo, quando, invece, potrebbe non esistere più.

Il rischio zero non esiste per nessuna persona, perché siamo umani. In noi c’è il bene e il male e, a volte, spetta anche alla società rischiare, pur di trarre fuori il bene. Credetemi, il regime del 41bis e una pena senza fine riducono le persone a dei vegetali – quando va bene – o in esseri ancor più criminali di quando sono entrati in carcere”.