La grande “vecchia” Cesame, il racconto di un ex operaio: “Una vera famiglia”

La grande “vecchia” Cesame, il racconto di un ex operaio: “Una vera famiglia”

CATANIA – 10 giorni fa la Cesame gettava ufficialmente le basi per la nuova riapertura. Presenti alla vera e propria festa, un momento emozionante per alcuni, il sindaco di Catania Enzo Bianco e il presidente della Regione Rosario Crocetta e tutti i sindacati: tra un anno, se tutto procederà per il verso giusto, il colosso dei sanitari riaprirà le porte della propria azienda. 

Cosa significa però momento emozionante? In fondo, potremmo dire, questa è una delle tante aziende che provano a riemergere nuovamente: eppure parlando con un ex operaio, Francesco Impellizzeri, scopriamo che c’era quasi una “magia” quando i lavoratori vi entravano ed iniziavano a “mettiri manu”.

La “vecchia” Cesame chiuse verso i primi anni 2000 e “io andai in pensione nel ’97. Fu un vero colpo al cuore sentire la notizia della chiusura dell’azienda dove tu hai passato la tua vita e hai tantissimi ricordi. Dopo tanti anni di lavoro e sacrificio da parte di tutti i 500 operai è stata un po’ dura. Quello che posso dire è che negli ultimi anni si intravedeva già un abbandono da parte dei piani alti”.

Non fu però un inizio facile per il signor Impellizzeri: dopo aver varcato per le prime volte, nell’agosto del ’63, le porte dell’azienda, soltanto dopo un anno e mezzo iniziò a prendere il ritmo lavorativo della Cesame: “Inizialmente soffrivo di incapacità lavorativa, perché non avevo l’esperienza giusta. Non ho mai pensato di mollare la Cesame, anche se commettevo diversi errori. Ho fatto 7-8 mesi di gavetta prima di diventare un operaio effettivo. Il lavoro era molto usurante ma con la buona volontà ho imparato, l’esperienza assunta nell’arco degli anni ti aiuta a non sbagliare più. Eravamo come una famiglia”. 

Cioè?

Andavamo tutti molto d’accordo, si parlava tranquillamente del più e del meno. Il clima era sereno, era come se ci conoscessimo già da una vita. Mai ci sono state delle discrepanze: dalle 8 del mattino fino alle 5 del pomeriggio, il nostro turno di lavoro, eravamo felici di ‘servire’ l’azienda. Dal canto mio, io ero contentissimo di aver intrapreso quella strada perché finalmente avevo trovato la posizione giusta per crearmi una famiglia. La Cesame può essere definita, in tal senso, più una seconda famiglia che una seconda casa”.

Riuscivamo ad andare avanti – ha proseguito – perché lavoravamo in piena sintonia: ciò che veniva prodotto era frutto del nostro lavoro, dell’impegno profuso e se era fatto in maniera ottimale si faceva il bene dell’azienda. Ricordo alcune cose che fanno onore alla vecchia Cesame: c’erano delle volte in cui lavoravamo di domenica, spesso anche per Sant’Agata. Eravamo anche riconosciuti a livello internazionale: da noi si servivano i cinesi e, una volta, anche il cognato di Gheddafi. A prescindere dalla storia mondiale, per noi era un orgoglio avere una certa nomina nel mondo”.

Quando si lavora bene, in armonia, c’è la possibilità di intraprendere strade diverse da quelle aziendali: “Ci mettevamo d’accordo per organizzare delle feste in occasione della Befana, per Natale, gite in giro per la Sicilia, avevamo una squadra calcistica che prendeva sempre parte alle rassegne nazionali a Milano, Roma, Torino dove partecipavano tutte le squadre vincitrici di ogni torneo aziendale d’Italia. Io ero il responsabile dell’area tecnica insieme con il fratello del dott. Magnanti, Vincenzo. Tra l’altro, in memoria del presidente Florio organizzammo per circa 5 anni un quadrangolare tra aziende catanesi come la Cmc e SicilProfilati. Queste cose facevano parte del nostro concetto di ‘tranquillità’ e quando negli ultimi anni vennero a mancare eravamo parecchio sconfortati: questi eventi ci riunivano al di fuori del mondo lavorativo”.

L’azienda era anche molto presente, ci dice, perché cercava di venire incontro alle esigenze degli operai: “Vi era un’assistente sociale dell’Oda, la dott.ssa Carani, attenta e puntuale, che si occupava di noi quando eravamo in malattia. Inoltre, l’azienda mise a disposizione alcuni pullman per agevolare gli operai che riscontravano delle difficoltà per raggiungere la zona Industriale, servivano anche per fare gruppo. Era un’azienda viva, mai un ritardo nei pagamenti”.

Dopo ben 37 anni di lavoro, il signor Impellizzeri va in pensione e non è stato certo facile: tanta la tristezza del momento da una parte per aver lasciato tutti gli amici che ancora non avevano raggiunto quel traguardo. Al contrario, la pensione “è stata quella cosa che mi dà la serenità fino ad oggi per vivere, grazie all’azienda. Quando sono andato via ho salutato tutti, uno per uno, in segno di un legame indissolubile”.

Era più di un lavoro quello che lui svolgeva. Nel corso di questa piacevole intervista, momento in cui il sig. Impellizzeri si è visibilmente emozionato, non lo abbiamo mai sentito parlare al singolare, ma al plurale: “noi facevamo”. Questo il saluto che ha voluto mandare alla nuova, vecchia, cooperativa che intende far rinascere la Cesame: “Conosco tutti coloro che stanno lottando per la riapertura, così come loro conoscono me. Colgo l’occasione per salutare il dott. Magnanti, il dott. Giannisetti, il dott. Grasso e tutti gli ex operai che con il loro contributo stanno dando una nuova linfa a questa azienda per un nuovo inizio. Grazie Cesame”.

Per capire fino in fondo il concetto di famiglia che ha trasmesso questa azienda, il signor Impellizzeri ci ha detto una cosa importante: “Grazie alla Cesame è stata fondata una cooperativa dove adesso la metà di noi abitano, nel quartiere di Librino: “Gli amiconi”.

E, senza dubbio, non poteva essere scelto un altro nome.