Finti poveri ma in realtà milionari, così migranti sfruttavano connazionali per portarli a Catania – I DETTAGLI dell’Operazione “Promise Land”

Finti poveri ma in realtà milionari, così migranti sfruttavano connazionali per portarli a Catania – I DETTAGLI dell’Operazione “Promise Land”

CATANIA – Il provvedimento restrittivo operato oggi nei confronti di ben 14 soggetti di nazionalità straniera, venuto fuori dall’operazione “Promise Land, accoglie gli esiti di un’articolata attività investigativa di tipo tecnico avviata dalla Squadra Mobile di Catania-Sezione Criminalità Straniera e Prostituzione, con il coordinamento della D.D.A. etnea, a seguito delle dichiarazioni rese da una giovane donna nigeriana giunta il 7 aprile 2017, unitamente ad altri 433 migranti di varie nazionalità presso il porto di Catania a bordo della motonave “Aquarius” della O.N.G. “S.O.S. Mediterranée.

Durante le fasi di accoglienza dei migranti un team di investigatori della Sezione Criminalità Straniera, specializzato nella cosiddetta early identification di presunte vittime di tratta, ha individuato un soggetto vulnerabile, “Giuly” – nome di fantasia – che, escussa, ha dichiarato di aver lasciato il suo paese perché convinta da un connazionale di nome “Osas”, che le aveva proposto di raggiungerlo in Italia, promettendole un lavoro lecito e anticipandole le spese del viaggio. Dal racconto della giovane emergevano plurimi dettagli sulla fase del reclutamento in Nigeria (dalla indicazione del Ju-Ju man ovvero lo stregone che aveva officiato il rito, alla procedura del giuramento e della sottoposizione al rito Ju-Ju, sotto la minaccia del quale la giovane aveva assunto il solenne impegno di non denunciare, di non fuggire e di pagare il debito d’ingaggio assunto, ammontante a 25.000 euro) alla fase del trasferimento in Italia dalla Libia ove è stata imbarcata su un natante di fortuna per poi essere soccorsa insieme agli altri migranti e condotta a Catania.

L’attività tecnica ha permesso di identificare il richiamato “Osas” nell’indagato Osazee Obaswon, dimorante a Messina che, dopo qualche giorno dal collocamento di “Giuly” in una struttura protetta, si è attivato per prelevarla, portandola presso la sua abitazione e avviandola al meretricio.

Le indagini tecniche, corroborate da attività di tipo tradizionale, coordinate dalla locale Procura Distrettuale della Repubblica e condotte dal personale della Sezione Criminalità Straniera della Mobile di Catania, hanno consentito di ricostruire un network criminale transnazionale, con cellule operative in Nigeria, Libia, Italia ed altri paesi europei, specializzato nella lucrosa attività di human trafficking, permettendo di accertare numerose vicende di tratta (almeno 15) ai danni di altrettante connazionali: il leader del sodalizio, Osazee Obaswon, collaborato in madrepatria dai familiari addetti al reclutamento (in base a criteri di natura meramente estetica) e alla sottoposizione ai riti magici (ripetuti più volte, anche tramite conference call, in caso di inottemperanza agli obblighi assunti) intratteneva i rapporti con i connection-man stanziati in Libia, incaricati di curare la fase finale e più pericolosa del viaggio ovvero la traversata via mare dalle coste libiche a quelle dell’Italia, ritenuta dalle vittime una vera e propria terra promessa ove avrebbero potuto sottrarsi alla miseria del paese di origine, aiutando anche i familiari ivi rimasti; una volta giunte in Italia le vittime venivano, invece, sfruttate in modo da ottenere da esse il massimo rendimento e venivano anche “smistate” in luoghi diversi del territorio italiano in guisa da massimizzare i profitti, affidate alle cure di altri indagati.

In sintesi l’indagine ha permesso di fotografare l’attività di un efficiente sodalizio dedito alla tratta di esseri umani e al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e operante su più Stati e distinguendo in base allo Stato ove veniva realizzata la condotta delittuosa era, difatti, possibile individuare:

  • una componente “italiana” costituita da Osazee Obaswon detto Ozed ovvero l’Osas indicato da Giuly e risultato essere il capo indiscusso dell’associazione, da Tessy William detta Silvia, da James Arasomwan detto James;
  • una componente “nigeriana” (familiari di alcuni degli indagati e altri soggetti con il ruolo di reclutatori);
  • una componente “libica” (costituita dal connection man cui i sodali erano soliti rivolgersi per il trasferimento via mare verso l’Italia delle vittime).

Grazie agli sforzi congiunti dei sodali nell’arco di quasi 8 mesi sono state registrate le vicende correlate al reclutamento, al trasferimento in Italia, alla gestione su strada di numerosissime vittime di tratta. Alcune delle vittime sono state immesse nel circuito della prostituzione delle strade messinesi, ove l’indagata Belinda John (già tratta in arresto da questo Ufficio per il delitto di tratta di esseri umani e già condannata per detto titolo di reato), è risultata gestire alcuni joints (postazioni lavorative su strada) e alla quale sono stati rimessi da alcuni dei sodali i canoni mensili per singola posizione occupata, previa riscossione del relativo importo.

La particolare expertise maturata dall’associazione investigata non è passata inosservata ad altri soggetti aventi gli stessi interessi affaristico criminali dei sodali: questi ultimi, infatti costituivano punto di riferimento per altri connazionali, anch’essi impegnati nel settore della tratta di esseri umani, i quali chiedevano consigli, contatti o supporto logistico e, talvolta, offrivano anche ausilio per la gestione di vittime, pur continuando a gestire le proprie vittime (ci si riferisce agli indagati Faith Ekairia, Joy Nosa, Rita Aiwuyo e ad altri 4 indagati non rintracciati sul territorio nazionale): il collegamento tra i vari componenti del sodalizio e gli altri connazionali sopra menzionati ha permesso di ricostruire ulteriori ipotesi di tratta svolgentesi al di fuori del perimetro associativo.

A Messina risultavano attivi in tal senso, gli indagati James Arasomwan e Macom Benson incaricati, tra l’altro, della riscossione del canone di locazione dei joints spettante alla “proprietaria” dei posti (l’indagata Belinda John) mentre ulteriori basi operative risultavano dislocate a Novara, dove dimoravano Tessy William ed Evelyn Oghogho, a Verona quale luogo di dimora di Faith Ekairia e Joy Nosa ed, infine, a Mondovì (CN), sede della madame Rita Aiwuyo.

In particolar modo la rete di rapporti vantata dai sodali su tutto il territorio nazionale e all’estero ha permesso di evidenziare dei trends nella realizzazione del delitto di tratta di esseri umani che, emersi occasionalmente in passato, sembravano esser in corso di stabilizzazione e, in particolare venivano rilevate due prassi:

  • la esternalizzazione dei servizi correlati alla gestione delle vittime (in buona sostanza, mentre in passato le vittime raggiungevano subito il proprio trafficante che si occupava di ospitarle e della loro messa a reddito, la presente indagine faceva emergere una sorta di “amministrazione conto terzi” della vittima: il soggetto che aveva finanziato e organizzato il viaggio della vittima la inviava presso un altro soggetto cui delegava “in toto” la messa a reddito, il controllo del meretricio, la percezione dei guadagni e l’invio degli stessi);
  • la triangolazione dei pagamenti delle somme a scomputo del debito di ingaggio (a differenza di quanto rilevato in precedenti indagini ove la vittima generalmente versava nelle mani del trafficante le somme provento del meretricio, alcune madame adottavano una diversa modalità di pagamento: le vittime erano costrette a inviare le somme direttamente al voodoolista che in Nigeria le aveva sottoposte al “juju” ovvero ai propri parenti affinché questi ultimi versassero le somme al voodoolista; il voodoolista al momento della ricezione delle somme avvisava la “madame” o i di lei parenti in Nigeria e questi ultimi si recavano dal voodoolista per incassare le somme nell’interesse della congiunta, somme che ovviamente restavano in Nigeria; detta prassi assolveva evidentemente un doppio compito, ovverossia per un verso la circostanza di dover versare al voodoolista ingenerava nelle vittime una ulteriore pressione psicologica, per altro verso, assicurava impermeabilità all’attenzione investigativa elidendo ogni flusso economico diretto vittima/madame).

In costanza di attività di indagine il sodalizio riusciva con frequenza a movimentare ingenti somme di denaro, sebbene talvolta anche per importi minimi, in guisa da trasferire in Nigeria tutto il guadagno derivante dallo sfruttamento delle connazionali e così anche simulando in Italia una situazione di impossidenza (di quasi povertà): ovviamente i flussi di denaro verso la Nigeria avvenivano sempre avvalendosi dei servizi di intermediari che non utilizzavano sistemi ufficiali o tracciabili.

Il volume di affari generato da detti traffici illeciti veniva gestito grazie al coinvolgimento di altri connazionali che si prestavano per trasferire, attraverso canali non ufficiali, la massima parte del denaro in Nigeria (ove veniva impiegato in investimenti immobiliari) ovvero per trasferirlo ai connection men libici in pagamento di nuovi viaggio di nuove vittime.

Dall’analisi dei flussi di denaro movimentato attraverso le carte di credito e Postapay emerse nel corso delle indagini (e tutte sottoposte a sequestro) risultavano accertate operazioni nel periodo di interesse per un ammontare complessivo pari a 1.200.000 euro.

Immagine di repertorio